giovedì 7 agosto 2014

perché scrivere di Educazione?


Esistono storie che non riescono ad essere viste perché si chiudono nella relazione tra educatore e utente, tra Maria e Nadia, tra un adulto che sa che cosa sta facendo ed un utente che ha bisogno di quel sapere che trasforma un gesto in cura, che trasforma un azione casuale in un pensiero e lo inserisce in un progetto.
ma spesso il sapere si ferma in quell'azione, in quel gesto.
il sapere studiato, conosciuto  e pensato, il sapere di un gesto che cura, che si occupa di altri riesce a connettere situazione e bisogni differenti e a trovare nuovi modi per far stare bene le persone che abitano quel contesto, quella casa, quel territorio, quella scuola.

Il sapere educativo che parla di come da un pensiero e da un progetto scritto si riescano a realizzare buone pratiche educative che siano azioni dirette con l'utenza o buone pratiche di coordinamento di un'équipe, di pensiero ed innovazione attorno ad un determinato fuoco, oggetto intenzionale, mandato della committenza, è pane quotidiano nei servizi educativi che incrocio.
Le buone prassi educative e il sapere pedagogico sono importanti per la società perché è la parte professionale che si cura delle persone: è la declinazione pratica dei servizi che hanno come mandato il creare contesti per una crescita favorevole dei soggetti della società.

eppure, tutto ciò fatica ad essere mostrato da chi se ne occupa alla società.
esistono relazioni alla committenza, relazioni per il tribunale che segue il minore, incontri con le famiglie dell'utente e via dicendo. 
manca a mio avviso il "ritorno" alla società che sui servizi investe. perché i servizi sono pagati con contributi pubblici, per la maggior parte, almeno.

per me si apre dunque una sfida (come mi ha rimandato Michaela Matichecchia): narrare sul web, trovando luoghi e tempi, modi e parole è un'opportunità perché il sapere di ciò che si insegna e si impara diventi un bene collettivo, della comunità, della società?
è possibile narrare ciò che gli educatori e i pedagogisti immettono con le loro pratiche quotidiane al "servizio" della comunità? è possibile mostrare ciò che gli utenti dei servizi apprendono e insegnano a loro volta?

secondo me si. 
è uno sforzo, sicuramente, perché non si è abituati, non si è neppure formati per farlo.
ma credo che la posta in gioco sia alta perché mancando sul web. e se non ci si è, si rischia di rimanere impigliati nella relazione diretta del servizio.
il web non è il mondo, d'accordo, ma è una finestra. e se una casa non ha finestre, e neppure porte, è una costruzione inutile.

il web è, a mio avviso, una possibilità "a bassa soglia" per potersi mostrare e per poter dar valore, attraverso la narrazione, alle tante storie di cura che abitano la nostra società, mettendo in luce un sapere che fa fatica ad arrivare nei testi, nei saggi, nelle aule universitarie, nella vita della gente.
ma se penso al fine ultimo della pedagogia 
Pedagogia= pedos- persona in crescita (formativa, non solo anagrafica/bambino) e agoghé- azione (non discorso, da logos, come spesso si confonde). La pedagogia è dunque, letteralmente la scienza dell'azione di/con una persona in crescita formativa, in educazione appunto.  cit. Manuela Fedeli
non possiamo toglierci, fare un passo indietro: occuparsi delle persone in crescita significa occuparci del futuro nostro e delle nostra comunità. e dire che lo facciamo e come lo facciamo è necessario per poter progredire come individui e come società. e farlo sul web è una delle possibilità.
volete tirarvi indietro?

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