venerdì 18 luglio 2014

#PEDAGOGICALERT - BANDIERA BIANCA

Il tema lanciato a luglio da Snodi Pedagogici è: #PEDAGOGICALERT

"Quali sono le zone oscure dell’educazione?

Quali elementi ci sono nell’educazione e nella pedagogia che, se non vengono valutati, portano l'azione educativa ad essere “pericolosa” per chi educa e ch è educato? 
Chi sono i cattivi maestri?
Oppure la pedagogia può come disciplina, citando Marguerite Yourcenar, saper guardare nel buio con disobbedienza, ottimismo e avventatezza e scoprire strade inusitate?"



Buona lettura



#PEDAGOGICALERT - BANDIERA BIANCA
di Federica Vergani

“X”: è un ragazzino è una storia che ho incontrato e da parecchi anni ogni tanto penso. 
Poteva essere allontanato dalla sua famiglia, ma dopo una storia di affido familiare, concluso (per alcuni “fallito”), ritorna a casa e verrà seguito per diversi anni da educatori che nella sua vita si avvicenderanno ed in qualche modo cercheranno di instaurare e vivere relazioni educative per aiutarlo a “costruirsi una buona storia”, come direbbe Laura Formenti.
“X” ha dovuto conoscere 4 educatori, che a turno non sono riusciti a trovare un senso “educativo o altro” al proprio lavoro e hanno richiesto un cambio operatore, un avvicendamento con un altro operatore dell’equipe educativa.
E’ stato espulso da scuola. In alcuni anni non ha potuto partecipare all’oratorio feriale, “perché non era il caso, date le esperienze degli anni precedenti”, così rispondevano gli animatori ed i parroci  dei paesi limitrofi. Sì perché gli educatori progettavano e pensavano interventi anche in contesti oltre il suo paese, pur di inserirlo con dei coetanei e toglierlo dalla strada. 
Partecipava al centro di aggregazione giovanile con riserva, solo se accompagnato da una figura adulta che potesse seguirlo individualmente. Partecipava poco tempo poi non ne voleva sapere di  stare anche al CAG. 
Per alcuni servizi, questo tipo di intervento educativo era, o forse è ancora,  di “riduzione del danno” (un intervento educativo con un ragazzino può essere anche così semanticamente pensato?).

“Y” è un bambino che incontra il padre nel servizio di spazio neutro da diversi anni, forse sette, e che non riesce ad incontrarlo se non accompagnato dalla madre, la quale deve rimanere e presenziare a tutto l’incontro.  Alcuni hanno sostenuto “questo è il loro legame” e si continuerà in spazio neutro fino ai 18 anni del bambino.
Nessuna passione, desiderio comune fra padre e figlio ha permesso nuove possibilità al loro legame. Nessun cambiamento strategico, educativo, attento, sfrontato, irreverente, graduale ha promosso negli anni che padre e figlio si incontrassero in un modo differente, seppur gli operatori agli inizi erano convinti che con il tempo gli incontri protetti potevano essere una fase, un transito, un servizio di supporto per del tempo.

Ecco qui, “x” ed “y”, non sono delle funzioni matematiche, ma delle storie e delle persone che ho conosciuto indirettamente, che mi hanno interrogato ininterrottamente poiché sono storie in cui gli operatori hanno alzato “bandiera bianca”. 
Storie di pensieri educativi iatrogeni, in cui il nero si confondeva con tinte grigie dalle narrazioni degli educatori, i quali dopo diverso tempo lasciavano, chiedevano che nuove risorse e pensieri prendessero il loro posto e dicevano “non posso continuare” ed hanno scelto di alzare bandiera bianca. 
Sono storie raccontate in supervisione, che hanno richiesto alle équipe sempre più competenze e pensieri riflessivi. 
In queste storie, e non funzioni, come in matematica le variabili sono molte e magari non tutte riconosciute ed analizzate; il dominio di ogni funzione può avere infinite variabili, ma in questi esempi vi è stata una costante: differenti educatori hanno alzato bandiera bianca.
Ecco qui quello che per me è considerato il nero: quell’impasse pedagogico in cui le storie saturate dai problemi non vedono nuove narrazioni, possibilità e si richiudono in copioni che nessun nuovo educatore riesce a ri-animare. Più professionisti di un’equipe si siedono per tentare di scrivere  il nuovo dove invece i protagonisti si impegnano e sforzano a rimanere nel loro presente. Vi sono in gioco differenti, molteplici livelli che spesso hanno accompagnato queste storie: potere – contropotere dell’educazione, cosa è funzionale a quel sistema che continua imperterrito nel suo copione, che i servizi invece vorrebbero cambiare… ed altro …
Ma in quel bianco in quella bandiera issata io intravedo ancora pedagogia. 
A chi vuole essere mostrato quel bianco? Al ragazzino? Al contesto? Alla loro famiglia? Ai loro legami? Alla propria professionalità? All’equipe? Ad altre equipe? Al supervisore? 

Perché in un nero pedagogico si accosta un bianco? Per me ecco che quella bandiera issata è un’ammissione da parte dell’educatore di speranza, di possibilità e accostamento di nuove visioni che potrebbero nascere in un nuovo cambiamento, per ora quello dell’operatore che in quel sistema e in quella storia vede ancora tinte e sfumature, nonostante anni di interventi educativi che non sono falliti, a mio avviso, ma hanno anche bisogno di nuovo e altro. 
Queste non sono storie di professionisti che potrebbero essere definiti in “born out”, questo non è un invito a cambiare frequentemente educatore nei servizi di Assistenza domiciliare o Spazio neutro, è un elogio al bianco. A pensare che vi sia possibilità e speranza dove crediamo che vi sia un bisogno, poiché lo leggiamo ancora in quel contesto per quel minore, quella famiglia o quel legame.
 È un credere che dal nero, accostando il bianco, si possano trovare delle sfumature altre, diverse, nuove riflessività che non si appiattiscano in semantiche non generative e accudenti dei bisogni educativi riconosciuti e da rispettare nell’altro.
Quel bianco è “àncora” e “ancòra”. 
E’ un cambiamento, è quel continuo interrogare che da anni mi accompagna…. È e sono la mia bandiera bianca.








Federica Vergani. Educatrice di spazio neutro e assistenza domiciliare per anni, ora pedagogista in una Scuola dell’Infanzia. Osservo il mondo intorno come un mondo di storie e narrazioni, da leggere e contemplare. 
ogni tanto la trovate su Facebook  






Tutti i contributi verranno divulgati dai blogger di Snodi Pedagogicicondivisi e commentati sui diversi social e raccolti a questo link (link dal sito di snodi)

I blog che partecipano
Il Piccolo Doge di Sylvia Baldessari
Ponti e Derive di Monica Cristina Massola
Nessi Pedagogici di Manuela Fedeli
E di Educazione di Anna Gatti
La Bottega della Pedagogista di Vania Rigoni
In Dialogo di Elisa Benzi
Bivio Pedagogico di Christian Sarno
Labirinti Pedagogici di Alessandro Curti
Tra Fantasia Pensiero Azione di Monica D'Alessandro Pozzi
blogging day fanno parte di un progetto culturale organizzato e promosso da Snodi Pedagogici.

Questo avrà termine con l'estate e sfocerà in un'antologia dei contributi che verrà pubblicata sotto forma di ebook, il cui ricavato andrà in beneficenza alla Locanda dei Girasoli (link del loro sito)



Una volta finito il percorso di pubblicazione online, vari autori che hanno preso parte ai BDay, verranno contattati dalla redazione.

lunedì 14 luglio 2014

prassi teoria prassi e il web


Lavorando da tanti anni nella cooperazione sociale ciò che percepisco come molto evidente è la difficoltà di riuscire a raccontare ciò che si fa.
Progetti bellissimi, risultati ottimi, sperimentazioni originali e molto interessanti. 
Tutto però rimane nel patrimonio di chi c’è: degli utenti e degli operatori, al massimo dell’organizzazione da cui nasce. Difficilmente il mondo attorno sa ciò che si sta facendo.

Si da spesso colpa al tempo che manca, alle risorse insufficienti per il pensiero che accompagna la pratica.
Senza pensiero però il binomio circolare “prassi-teoria-prassi” che permette di partire da un progetto ideale, attivare delle pratiche e poi valutare i risultati per poter riprogettare e modificare, implementare, migliorare la pratica, va un po’ a pallino.
Non dappertutto è così chiaramente.

Quella che invece è, in modo desolato, abbandonata da tutti è la comunicazione sul web degli apprendimenti, dei risultati, dei processi in corso nei servizi e nelle organizzazioni.
Non c’è traccia.

Sapendo quanto il web sta occupando la nostra vita quotidiana, quanto ci permette di imparare del mondo, quanto incide sul nostro modo di vedere il mondo, i servizi sociali ed educativi rischiano di rimanere solo aderenti ad un azione, ad un servizio che “serve”, alla concretezza di mani che sostengono, della pazienza che accompagna, della condivisione che supporta.
Un servizio educativo, e a maggior ragione le organizzazioni che se ne occupano, ha invece il compito di produrre pensiero e sapere attorno a ciò che fa.

Credo che il bisogno di essere dunque visibile sul web sia necessario.
e fattibile.

Di storie da raccontare ce ne sono tantissime.
Di sapere educativo e pedagogico, anche.
Serve fonderle con il linguaggio e con i luoghi del web per poterlo rendere nuovamente fruibile, pubblico e generativo.