mercoledì 30 aprile 2014

#pensodunquebloggo - C'ERA UNA VOLTA UN RE..







..C'era una volta un re, seduto sul sofà..
Da piccola, ad ogni ripetizione della tiritera pronunciata da mia madre, mi aspettavo una continuazione differente e pendevo dalle sue labbra...
beh, la storia doveva portare qualcosa di diverso, una prosecuzione..prima o poi sarebbe giunta ad un cambiamento..invece nulla, non accadeva niente.

..che diceva alla sua serva, raccontami una storia e la storia incominciò..

Quel contesto sapeva di infanzia,di filastrocche, di racconti orali..e soprattutto di bambini che dovevano dormire..ma la convinzione che una narrazione abbia la potenza di mettere in fila parti di un percorso di cambiamento era già un sentire, che nel tempo è affiorato alla mia consapevolezza fino a quando sono riuscita a dare un nome a quel "pendere dalle labbra".. 

..La narrazione come dimensione che ci permette di condividere e rendere partecipe delle esperienze,
la narrazione come strumento di costruzione di senso e significato, 
come mezzo per trasmettere abilità e conoscenza,
la narrazione per co-costruire la dimensione individuale e sociale del mondo, per trasformarlo e rinnovarlo, per abitarlo insieme all'altro da me. 

In sintesi, la narrazione come dispositivo di educazione. 

Non mi soffermerò su questo concetto, sul quale la letteratura si esprime da tempo, mi limiterò ad affermare che ritengo che questo aspetto sia il filo rosso che lega ogni parte del lavoro svolto fin qui da Snodi Pedagogici attraverso il Blogging Day. 

Articolo per articolo, post dopo post, compare il binomio educazione e narrazione. Non solo espresso come contenuto su cui gli autori dei post si sono spesi, ma educazione e narrazione come presupposto: grazie a questo motore è possibile, infatti, portare riflessioni, scambi, confronti, arricchimenti altrui - e miei in primis - perché condividere narrazione è già in sé un atto di cambiamento e quindi di crescita.

Così è avvenuto che alcuni genitori abbiano potuto confrontarsi sul proprio ruolo educativo, che diverse figure professionali -e non- che ruotano intorno alla scuola abbiano potuto scambiarsi sguardi e prospettive e che tutte le persone che compiono atti politici abbiano potuto riflettere da più punti di vista, favorendo una forma di pluralità.
..E non solo loro: la forma e il mezzo del web permette una capillare divulgazione dei contenuti e di amplificarne la risonanza, consentendo anche ad altri di contribuire, portando i loro commenti.
Che il web amplifichi le potenzialità del binomio educazione-narrazione? Lascio a voi la questione.

Intanto aspetterò il prossimo Blogging Day per continuare il mio personale, ma insieme collettivo, percorso di cambiamento e crescita. 

"C'era una volta un re.." era solo l'inizio, mi ha aiutato ad arrivare fin qui.

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Alessia Zucchelli esercita la professione educativa dal 2001 a fianco degli adolescenti a cui si appassiona tanto da decidere di approfondirne la riflessione e la pratica educativa nel lavoro e in una tesi in Scienze dell’Educazione su  giovani e famiglie.
Appassionata al lavoro educativo,  ritiene che agire CON i ragazzi sia una pratica che ogni giorno le permette di apprendere e contemporaneamente prendersi cura del futuro.
Interessata all’ Incontro, alla Comunicazione, alla Partecipazione, pensa che il web sia oggi luogo fondamentale per sperimentare e confrontarsi su pratiche educative.
Sogna un mondo in cui educare e trasmettere, imparare e apprendere, siano considerati come unico processo di scambio e crescita reciproca tra giovani e adulti.
Iscritta alla L. M. in Scienze Pedagogiche dell’Università di Bergamo, attualmente educatrice in Centri di Aggregazione Giovanile e in progetti contro la dispersione scolastica, è co-fondatrice di Snodi Pedagogici e per il Blogging Day, oltre che della scrittura, si occupa della divulgazione dei post.

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Trovi i link a tutti gli altri contributi al Blogging Day #pensodunquebloggo 

Vuoi contribuire per il prossimo BD #educazionEamore? 
Scrivi entro il 7 maggio alla redazione snodipedagogici@gmail.com 

martedì 29 aprile 2014

#pensodunquebloggo - 5 post


Mi hanno sempre affascinato quei fili per il bucato tesi tra una casa e l'altra, sopra vie strette di alcune città. Come a tendere un filo che entra ed esce dalle finestre di case di persone diverse. A creare un collegamento sottile ed utile, discreto nella sua essenza e vistoso quando le lenzuola danzano per un po' di vento. Stendere i panni che ricoprono i corpi, che avvolgono nei sogni, che parlano di intimità in un luogo pubblico, alla vista di tutti, soprattutto dei vicini ma anche dei passanti, mi colpisce. E mi farebbe venir voglia di chiedere: posso anch'io stendere qualcosa di mio?



Così nel mio piccolo, ho messo questo mio blog, questa mia finestra digitale, a disposizione per il progetto Blogging Day che come Snodipedagogici stiamo realizzando: un davanzale da cui parte un filo teso.
Il filo teso ha un nome, si chiama Educazione e a ben guardare attraversa finestre di case differenti: dalla casa di Calvino ad una profumata di caffè passando per le finestre delle scuole per arrivare in oratorio.
Ogni finestra sul mondo mostra un pezzo di sé con i propri panni stesi ad asciugare e i fili che passano sono due:

c'è un'idea di base espressa magistralmente da Michela Marzano nel suo post per #pedagogiaepolitica
“(...)Permettendo a tutte e tutti di uscire dalla servitù volontaria di cui si è spesso prigionieri. È solo così che si potrà sperare di lasciare ai nostri figli un mondo migliore in cui la giustizia, la libertà e l’uguaglianza non siano solo parole vuote, ma si traducano concretamente nella vita di tutti i giorni per permettere a chiunque di contribuire al vivere-insieme.”

e poi ce n'è un'altra: che l'educazione si rivolge si soprattutto ai più giovani, ma che riguarda necessariamente gli adulti.
Gli adulti che sorreggono e proteggono i giovani in arrampicata (Marta Galbiati - educazione si scrive in verticale), quelli che danno a disposizione tutte le 4° ore del lunedì per incontrare i genitori che latitano (Cristina Maggi - ricevo il lunedì), quelli che si sono "abituati a pensare che l’Educazione sia una cosa lontana, identificandola e confondendola troppo spesso con l’istruzione, dimenticando che i più grandi apprendimenti non nascono nelle scuole e che il bagaglio di esperienze che riempiamo ad ogni passo della nostra esistenza fa di noi gli adulti che siamo.(Paola Torres - il valore di un caffè)quelli che si interrogano perchè in 8 anni ho avuto l’onore- perdonatemi- di fare un colloquio preliminare prima di entrare in classe SOLO CON UNA PRESIDE.” (Denise Paroni - storia di una prof...)

pensieri di adulti attorno alle proprie posizioni di ruolo che si mettono in gioco quotidianamente mostrandosi come esempio possibile, educando i bambini e i ragazzi ad un modo d'essere adulti attivi e responsabili, adulti capaci di  parole e relazioni che nascono da incontri e da occasioni per riprendersi in mano quel vivere-insieme così prezioso e così faticoso in questo periodo storico.

Penso che riproporre la cooperazione come pratica pedagogica in una situazione come quella attuale, di accentuato individualismo, sia un atto coraggioso e necessario per recuperare un valore formativo che la società e la scuola hanno accantonato o dimenticato” queste sono le parole di Mario Lodi, un insegnante scomparso da poco, un acuto pedagogista che fondò il Movimento per la Cooperazione Educativa.

L'esperienza del Blogging Day va in questa direzione: creare una rete tra persone che contribuiscano a recuperare il valore formativo delle relazioni sociali e aprire possibili occasioni di scambio ed incontro (fisico o digitale che sia).

“Educare, da questo punto di vista, significa creare cultura; creare cultura significa aiutare a trovare le parole per qualificare quello che si vive; trovare le parole significa darsi forza e resistere.”

e parlare continuando a stendere sui fili tesi da una casa all'altra può essere un buon allenamento, una scelta intenzionale per incidere sulla realtà.

Snodipedagogici nasce dalla voglia di incontrare persone che attraverso il web riescano a promuore pensieri attorno all'Educazione e alla Pedagogia coinvolgendo e stimolandone altri. E il Blogging Day ne è una delle azioni che abbiamo scelto.

I tre appuntamenti di Blogging Day che abbiamo realizzato sui blog aderenti hanno discusso di #educazionenaturale , #pedagogiaescuola e #pedagogiaepolitica. Ora avevamo bisogno di provare a fare un primo passaggio elaborativo che provasse a tracciare fili di senso.


i contributi di #pensodunquebloggo li trovate qui:


giovedì 24 aprile 2014

Disconnect: immaginari sul web

di Alessia Zucchelli



Vado al cinema stasera..
"Disconnect" viene presentato come un docu-film sulle conseguenze che l'avvento di internet e del web 2.0 hanno avuto nella vita di tutti noi; la serata rientra in una serie di iniziative che il Comitato Genitori di un Istituto Superiore e l'Istituto stesso stanno portando avanti sul tema Web e nuove generazioni.
Mi guardo intorno, in sala sono presenti ragazzi, genitori, insegnanti; recupero un paio di recensioni, da cui colgo che il film non presenta un punto di vista proprio positivo della tematica. Sono comunque molto incuriosita per approfondire la mia riflessione su educazione e web e soprattutto interessata ad esplorare gli immaginari che vengono proposti: quali contenuti e significati le agenzie educative divulgano a famiglie e ragazzi?
Si abbassano le luci,vengo catapultata in tre storie che da subito sento vive, dense: una famiglia sul lastrico economico, un paio di cyberbulli che finalmente trovano una vittima succulenta, una giornalista che cerca lo scoop nel mondo della prostituzione giovanile..storie tutte accumunate dall'essere cadute nella trappola del web..
..Che dire? Una tragedia! Il film si rivela un concentrato di situazioni catastrofiche e di vite spezzate proprio nell'incontro con internet 2.0: i social, le chat. Non solo i ragazzi ma -attenzione- gli adulti stessi finiscono -loro malgrado- nella trappola della rete, subendo conseguenze davvero catastrofiche.. a mio avviso, lasciatemelo dire, in maniera un pò ingenua.
Nel ruolo sicuro e tranquillo di spettatrice attendo che compaiano briciole di buon senso, barlumi di ragionevolezza..ma rimango quasi a bocca asciutta.
La sensazione che sento è di distacco ed estraniamento: una coppia sul lastrico per la clonatura della carta di credito, una famiglia distrutta per il suidcidio del figlio a seguito di atti di bullismo, una giornalista che tenta la scalata al successo intervistando un minore che si prostituisce online, il tutto condito da suspence e fiato sospeso, come neanche la migliore tradizione Horror.
Per carità, tutti fatti verosimili..ma così inanellati e farciti di ingenuità a me risultano poco credibili: davvero qualcuno pensa ancora che il web sia solo una didascalica catastrofe?
A un certo punto il ragazzo seduto vicino a me e che spesso durante il film estrae lo smartphone dalla tasca, chiede alla madre di andarsene:
"è triste..è brutto, voglio andare a casa"
..queste parole mi rincuorano..cominciavo a stare davvero scomoda nella poltroncina e ora so che qualcuno condivide questo stato d'animo. Alle parole del ragazzo capisco però che non si tratta dell'inquietudine che il film trasmette, come accade per lui, ma piuttosto del timore di essere sola -come spettatrice- nel sentirmi contrariata.
Ora, io non ho potuto chiedere ai ragazzi in sala che cosa si siano portati a casa da questa visione, ma la richiesta rivolta dal mio vicino alla madre mi è sembrata sana e rivelatoria..
Come possiamo non vergognarci di mostrare ai ragazzi un simile concentrato di catastrofi e di mancanza di buon senso adulto? Perchè, davvero, gli adulti rappresentati nel film non paiono semplicemente "umani", ma rasentano la sprovvedutezza.
Come possiamo da adulti identificarci in questi personaggi, tanto da decidere di mostrarli sul grande schermo ai ragazzi?
E ancora, come possiamo pensare che terrorizzare le nuove generazioni in questo modo -didascalico peraltro- possa davvero tornare utile affinchè prendano consapevolezza e affrontino i rischi (reali, per carità!) che la vita -e non il web in sè- ci riserva?
Come possiamo pensare di sensibilizzarli mostrando loro l'atto più estremo che si possa compiere: togliersi la vita? Quanti dei ragazzi in sala si saranno identificati col giovane protagonista suicida? Ma ancor prima, sensibilizzare coincide con spaventare?

Quando ci accorgeremo che stiamo vomitando addosso ai ragazzi tutte le nostre paure e il nostro bisogno di contenerle? Perchè non ci rendiamo conto che in questo modo risultiamo poco credibili e che se i ragazzi avranno il buon cuore di sforzarsi di crederci, un giorno potrebbero pensare di aver perso il loro tempo? Perchè la realtà che vivono è ben distante da come univocamente e paternalisticamente gliela dipingiamo!

Perchè non riusciamo a capire che il nostro ruolo non è quello di rinchiudere, censurare, dare voce ai nostri timori, ma quello di condividere la voglia di vivere, il bisogno di fare esperienze, di essere positivi dei ragazzi, camminando con loro e aiutandoli ad esplorare un mondo nuovo con senso critico per evitare le derive, oltre che accoglierli quando si fanno male?

Per chiudere la serata un professore dell'Istituto Comprensivo porta le sue riflessioni sul tema tecnica e tecnologia..(non ci crederete, ma ho deciso di andare fino in fondo!)..professore di filosofia, citando Francis Bacone -facendogli dire che la Tecnica 'nasce' per risolvere problemi ma ne causa poi ben altri- riesuma il mito di Dedalo che, inventore, costruisce una macchina-toro per soddisfare le pulsioni sessuali di Pasifae e ciò che ne deriva è il Minotauro, minaccia per la città e i suoi giovani; e ancora, non soddisfatto, ricorda il mito della Caverna di Platone per dare un monito: non dobbiamo farci ingannare, la realtà è ben altro!

Peccato che il professore si sia dimenticato che la sua voce poteva essere ascoltata dal pubblico grazie ad un microfono e che senza la tecnologia cinematografica, che ha permesso la produzione e la diffusione del film, le sue riflessioni non avrebbe potuto non solo condividerle, ma probabilmente nemmeno farle!
Applausi in sala.


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Alessia Zucchelli esercita la professione educativa dal 2001 a fianco degli adolescenti a cui si appassiona tanto da decidere di approfondirne la riflessione e la pratica educativa nel lavoro e in una tesi in Scienze dell’Educazione su giovani e famiglie nell’età contemporanea.
Appassionata al lavoro educativo, ritiene che agire PER e CON i ragazzi sia una pratica che ogni giorno le permette di apprendere e contemporaneamente prendersi cura del futuro, in una continua sfida di cambiamento e crescita.
Interessata all’Incontro, alla Comunicazione, alla Partecipazione, pensa che il web sia oggi luogo fondamentale per sperimentare e confrontarsi su pratiche educative che prevedano la possibilità di creare legami e buone prassi innovative.
Sogna un mondo in cui educare e trasmettere, imparare e apprendere, non siano considerati ambiti separati, ma vissuti come unico processo di scambio e crescita reciproca tra giovani e adulti.
Attualmente educatrice in Centri di Aggregazione Giovanile e in progetti contro la dispersione scolastica, è iscritta alla L. M. in Scienze Pedagogiche dell’Università di Bergamo.

venerdì 18 aprile 2014

tra fisico e web: educazione possibile


c'è una connessione tra ciò che facciamo tutti i giorni materialmente, fisicamente e ciò che mostriamo sul web. almeno per chi, come me ci sta tanto. e gli piace.

una delle dimensioni su cui sento molte preoccupazioni di adulti, in particolare i genitori, è di una possibilità di staccarsi dalla realtà fisica per essere inglobati nella rete
e qualche notizia sensazionalista sul fenomeno #hikikomori da man forte a queste, sane, preoccupazioni.
ma fino a che punto sono, appunto, delle "sane" preoccupazioni?

Lo sono, a parer mio, quando permettono agli adulti di interessarsi a ciò che fanno i ragazzi, i loro figli, nipoti, vicini di casa, alunni, allievi,...
che non vuol dire invadere i loro spazi, ma darsi disponibili per una protezione di cui i ragazzi spesso hanno bisogno, per un confronto che, difficilmente a parole, riescono a richiedere.
il web, paradossalmente, facilita questo processo. 
manca il corpo e con lui tanti sottili aspetti della vita "fisica" che spesso fanno far fatica. dietro allo schermo di uno smartphone non si vede che divento rossa. tra un messaggio e l'altro non si percepisce il sudore freddo di paura o di gioia.
gli emoticons li hanno inventati per cercare di dare emozioni ai messaggi, di sopperire in parte alla mancanza di un corpo. ma sappiamo che non lo sostituiscono di certo.
un corpo che, nella società dell'immagine in cui viviamo, viene fermato e filmato in immagini che riempiono la rete in pose plastiche ed innaturali. un'immagine che spesso non centra molto con quello che sono ma che li rappresenta per una parte.
e se ci pensiamo bene, è così anche per noi.

ho cambiato di recente la mia immagine sui miei profili. una foto di una preziosa fotografa, una formazione con un sacco di spunti sia sull'uso delle immagini che delle parole (e su google plus) mi hanno fatto fortemente riflettere su ciò che mettiamo noi, come adulti in rete.
e anche li le sfumature sono mille. forse di più di quelle dei ragazzi.
forse.
o forse, anche noi, dietro allo schermo di un pc o di un telefono, riusciamo a non arrossire.

ma se ciò accadesse, questa sarebbe una perdita secca. arrossire fa bene, è necessario per sentirsi vivi. il web ci può aiutare un po' a sciogliere, a dare una possibilità nuova di andare oltre, anche a farci pensare a come il web sta influenzando le nostre vite, i nostri incontri, la comunicazione con gli altri.
ieri sera ho ringraziato di un complimento che mi era arrivato tramite la foto sopracitata. ecco. credo che dal vivo non sarei riuscita a prendere il tempo che il web mi ha dato. ma sono arrossita, comunque. e mi sono imbarazzata. solo ho avuto un'altra chance.

il corpo dunque, sul web, c'è. c'è nelle foto, nei video, ma c'è anche nelle parole, frutto di un battere dei polpastrelli sui tasti o sul touchscreen. e forse, tenendolo bene in mente, possiamo provare a giocarci le possibilità che ci da, partendo dal comprendere cosa facciamo noi per capire come i ragazzi stanno dietro gli schermi, e come se la giocano tra fisico e web.

e allora forse, possiamo recuperare la potenza della preoccupazione che si trasforma non in angoscia ma in curiosità e possibilità di fare nuovi pensieri. perché nella vita dentro e fuori dal web, i nuovi pensieri e le nuove esperienze valgono tantissimo: ci fanno crescere. qualsiasi età abbiamo.