lunedì 27 gennaio 2014

#educazionenaturale - il valore di un caffè



viene proposto ai membri un tema educativo.
Chi raccoglie la sfida scrive un articolo al riguardo. I contributi, poi, vengono ospitati nei blog presenti in Snodi Pedagogici  e divulgati nei vari social con un hashtag particolare in un determinato giorno.

Questo mese, gennaio, tocca a "l'Educazione nasce naturale", tema lanciato da Alessandro Curti nell'assemblea  del 16 novembre, svoltasi a Milano.
Cosa ne pensano i genitori dell'educazione?

"L'educazione nasce in un ambito naturale, la famiglia, il gruppo, il clan, la tribù, in cui era necessario che i grandi insegnassero ai piccoli quello che occorreva per vivere. Poi la società si è fatta più complessa è le figure educative si sono moltiplicate e in alcuni caso si sono professionalizzate per supportare quelle naturali. Ma ancora oggi la prima istanza educativa nasce nelle famiglie, nei gruppi familiari, negli spazi di socialità naturali...."

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 IL VALORE DI UN CAFFè

di Paola Torres


Paesaggi nuovi, nuovi volti, nuove emozioni. In più il momento di diventare mamma era arrivato. La mia prima preoccupazione: “Chi mi affiancherà in quest’avventura?” C’era papà, ci’erano i nonni, ma mi rimaneva la sensazione che oltre a queste figure indispensabili qualcosa ancora ci servisse. Capirlo non fu’ immediato, ma ormai l’avventura era già partita. Così andando di qua e di là ho scoperto che in un semplice gesto quotidiano si nascondeva uno spazio meraviglioso. Andare a prendere il caffè insieme ad altri genitori, quello spazio attorno al tavolo dove si intrecciano chiacchiere, storie, esperienze, confronti, lezioni...

Capita spesso di pensare che i luoghi dell’educazione siano limitati a certi spazi o a certe figure. Ci siamo abituati a pensare che l’Educazione sia una cosa lontana, identificandola e confondendola troppo spesso con l’istruzione, dimenticando che i più grandi apprendimenti non nascono nelle scuole e che il bagaglio di esperienze che riempiamo ad ogni passo della nostra esistenza fa di noi gli adulti che siamo. Esperienze come quella attorno ad un tavolo…

Tanti ponti in sospeso… però credetemi, quello che provo quando parlo alle mie figlie e pretendo di insegnargli qualcosa, è una sensazione di smarrimento. Anch’io sono stata piccola e allora gli adulti sembravano una cosa troppo lontana e irraggiungibile, per la loro dimensione, per le loro parole, per i loro interessi. Adesso mi trovo al posto dell’adulta ma senza la certezza di aver raggiunto quello che da piccola mi sembrava lontano. Magari perché mi sento sola e allora mi sovviene il tavolo con sopra una tazza di caffè e chi ci sta attorno, e risuona in me il detto africano, ascoltato qualche tempo fa, che recita :

Ci vuole un intero villaggio per far crescere un bambino”.

E mi ricredo, e prendo coraggio. Perché quando ero piccola, il villaggio era la grande città in cui sono cresciuta, le mie distanze erano gigantesche; piccola come sono, ho conquistato i miei posti e anche loro hanno conquistato me. E spero che i bambini di oggi possano conquistare con le proprie forze i loro posti, le loro emozioni, i loro compagni di strada. Perché sono sicura che la parola “chiave” del terzo millennio sia La Rete. Abbiamo fin tropo presente il concetto delle reti virtuali (Internet, blog, social network)... ma stiamo dimenticando la rete sociale che si costruisce nel quotidiano, negli incontri di tutti i giorni per strada, in piazza, in casa chiacchierando, con le nostre esperienze e i nostri passi. Mi piace sapermi una mamma che il mattino condivide una rete attorno ad un tavolo, dove si ha il coraggio di confrontarsi e credere nelle persone, due strumenti per camminare insieme. Come scriveva quell’uruguaiano parlando dell’Utopia…
Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l'orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare.” Eduardo Galeano.

E camminando insieme, costruiamo il villaggio (mondo) dove facciamo crescere i nostri bambini.
Ringrazio le mamme che sanno condividere un caffè!




Paola Torres, insegnate di lingue, nasce in Colombia dove cresce e studia laureandosi in lingue straniere all’Università Pedagogica di Bogotà.
Due anni di studio e lavoro a Parigi ed un master europeo in intercultura, gli fanno conoscere l’Europa di cui rimane innamorata... e poi anche intrappolata.
In Italia prosegue il suo lavoro nell’insegnamento, nella pratica più che come istituzione, concentrandosi da 5 anni (quasi 6) nell’arduo compito di mamma, nell’ambito del quale ha l’opportunità di sperimentare sul campo gli studi approfonditi sulle teorie del bilinguismo precoce.


Galleggia tra l’utopia e il sogno di un mondo migliore e lavora ad aprire le porte per farli entrare nel mondo reale.

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i disegni di questo post sono di Paola Torres e di sua figlia.

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#educazionenaturale - Educazione si scrive in verticale



viene proposto ai membri un tema educativo.
Chi raccoglie la sfida scrive un articolo al riguardo. I contributi, poi, vengono ospitati nei blog presenti in Snodi Pedagogici  e divulgati nei vari social con un hashtag particolare in un determinato giorno.

Questo mese, gennaio, tocca a "l'Educazione nasce naturale", tema lanciato da Alessandro Curti nell'assemblea  del 16 novembre, svoltasi a Milano.
Cosa ne pensano i genitori dell'educazione?

"L'educazione nasce in un ambito naturale, la famiglia, il gruppo, il clan, la tribù, in cui era necessario che i grandi insegnassero ai piccoli quello che occorreva per vivere. Poi la società si è fatta più complessa è le figure educative si sono moltiplicate e in alcuni caso si sono professionalizzate per supportare quelle naturali. Ma ancora oggi la prima istanza educativa nasce nelle famiglie, nei gruppi familiari, negli spazi di socialità naturali...."

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 ‪#‎educazionenaturale‬ 
EDUCAZIONE SI SCRIVE IN VERTICALE
ovvero l'educazione nasce intenzionale 
di Marta Galbiati

 

"Si però, mi raccomando, non organizzare una cosa da oratorio..."
Passa da questa strettoia una delle prime riunioni per pensare un doposcuola per i ragazzi della secondaria e poi rapidamente si scivola in una sistematizzazione di tempi, rapporti numerici, spazi, tecniche ...
... ma nella pancia continuano ad agitarsi quelle "cose da oratorio", sì, perché alle "cose da oratorio" da sei anni e mezzo a questa parte ho dedicato la mia professionalità e una buona fetta della mia vita e proprio che "da oratorio" significhi superficiale, non pensato o di poca qualità solo perché agisce molto sull'informalità, proprio non mi va giù!
Così poco più tardi rimasta sola nel mio ufficio lascio che le "cose da oratorio" migrino dalla pancia alla testa, tanto più che mi pare si intreccino bene con il titolo del cross-blogging "l'educazione nasce naturale" che da qualche giorno si è affacciato su Facebook.
La mia è un'esperienza professionale in un universo di volontariato, punto di sintesi e di rilancio tra chi a diverso titolo nella comunità si impegna per far crescere "buoni cristiani e onesti cittadini", ovvero per aiutare i più giovani ad aprirsi alla propria vocazione, che è il modo con cui da sete parti diciamo che ciascuno deve trovare la propria strada per crescere felice insieme agli altri.
Credo che la palestra per l'arrampicata che vedo dal mio ufficio sia una buona immagine dell'impegno educativo, di quello degli spazi informali dell'oratorio, come quello dei tempi più istituzionalizzati, ovvero quello delle famiglie: educare è un po' cercare di far comprendere ai ragazzi la bellezza di un cammino che si stacca dalle nebbie della pianura per andare verso l'alto, dove la vetta da raggiungere è quella del proprio futuro.
La scalata non è naturale, è frutto di una scelta ed ha bisogno di un allenamento, di un contesto protetto, fatto di percorsi pensati artificialmente, di corde e di imbrachi, di una guida a terra che dia delle indicazioni e attutisca le cadute - lasciandoti però la responsabilità e lo sforzo dei passi verso l'alto e delle prese mollate - prima di poter affrontare le vie più impegnative.
Così è per la vita, c'è bisogno di una palestra che ti dia gli strumenti affrontarla, strumenti che a volte - in modo forse un po' antidemocratico - ti "costringono" in un imbraco un po' stretto o lungo percorsi prefissati; c'è bisogno di guide che mostrino una via e al contempo lascino man mano la responsabilità di passi che possono portare anche fuori da quella via lungo piste nuove ... questa palestra si chiama a mio avviso educazione.
A terra ci sono diverse guide,alcune più formate, professionali, a volte istituzionali, altre più spontanee o informali, magari "da oratorio" ... tutte - a partire dalla prima mano tesa del papà o della mamma che invitava il suo cucciolo a staccare le mani da terra e ad alzarsi in piedi - sono frutto di scelte precise, spesso non istituzionali, ma certamente intenzionali.
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Marta Galbiati cresce in ambiente oratoriano facendo volontariato come educatrice preadolescenti e adolescenti. Nel 2005 si diploma in Scienze dell’Educazione presso l’Università di Milano Bicocca con una tesi sulla comicoterapia e inizia a lavorare presso un CDD dove si scontra con la realtà della disabilità grave e incontra alcuni maestri di vita che le fanno capire l’importanza di credere alla vita in qualunque situazione o difficoltà. Sempre nel 2005 inizia la sua specializzazione in Consulenza Pedagogica e Ricerca Educativa che concluderà nel 2009 con una tesi sul ruolo del padre in adolescenza. Dall’estate 2007 la sua esperienza lavorativa ha una svolta, con l'inizio dell'impegno come responsabile d'oratorio per la cooperativa Aquila & Priscilla della diocesi di Milano, che l'ha portata ad una costante interazione con la dimensione dell'informalità e del volontariato. L'esperienza sul campo l'ha appassionata sempre più a preadolescenza e adolescenza, con la convinzione che la straordinaria avventura dell'educare richieda la responsabilità di rivelare che non esistono ragazzi cattivi.

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mercoledì 22 gennaio 2014

legalità/illegalità #1




il ragazzo più seguito dai servizi sociali tra quelli che ho mai incontrato:
nell'ultimo anno è passato da un ingente monteore di assistenza domiciliare minori (Adm) e da tre comunità minori.
lo segue uno staff intero.
ha 15 anni.
ha una famiglia alle spalle, una situazione "normale" o quantomeno come altre.
ha una serie di carichi pendenti con la giustizia, e lui lo giudica "normale".
ha un problema di definizione del limite tra ciò che è normale e ciò che non lo è, tra ciò che è legale e ciò che non lo è.

dunque: un ragazzo così cosa ci trova in un progetto di tutoring educativo da non mancare un incontro?
l'inizio, sempre con puntualità, c'è stato il misurarsi.
poi lo sperimentarsi.
ora forse anche il fidarsi,
tanto da raccontarmi di aver fatto da terzo ad un pestaggio per cui è in attesa di processo.
e se ne vanta: sia del pestaggio che del processo, anche di non aver detto i nomi degli amici.
"il poliziotto mi ha detto che sono un omertoso. ma io, i nomi dei miei amici non li faccio"

su un ragazzo così le domande che si aprono sono tantissime, sfaccettate.

in una scena dove l'illegalità è esaltata, esiste una possibile strada da intraprendere?
che potenza ha la legalità quando incontra l'illegalità diffusa e dichiarata?
la legalità va interrogata, ha bisogno di percorsi lunghi e faticosi, per cui servono competenze basilari?

perché se è così, qui non c'è nulla da fare...

lui è simpatico, ma soprattutto, è vivo.
nel senso che, nonostante tutto, o forse proprio perché ne ha combinate di ogni, lui ci sta provando: è in gioco.
non uno spettatore.
no.
in gioco con tutto se stesso, lui è in scena.
e questo, è l'appiglio potente da prendere a mio avviso.

ma se gli adulti che ha attorno gli hanno messo un'etichetta, quella del deviante, a cosa serve il suo essere in scena?
e mi chiedo ancora: ma il mettere un'etichetta cosa insegna? è giocare pulito? è "legale"?