mercoledì 19 dicembre 2012

sognare

sognare è immaginare altro da quello che si ha davanti agli occhi.
sognare è vitale e, a volte, duro.
sognare è fare i conti con ciò che hai e ciò che vorresti.
sognare è gratis, non costa che il tempo per farlo.
sognare è dormire, è rimanere a guardar le nuvole nel cielo.
sognare è fare cose incredibili, pensieri rivoluzionari, idee di quotidianità.
sognare è una cosa che possono fare tutti, con gli strumenti che si hanno in dotazione dalla vita, dalle esperienze personali.

ognuno sogna a partire da se stessi e questo mi sembra un esercizio di grande ricollocazione: mi pongo nel mondo, sono io che vorrei essere altro perchè riconosco ciò che sono ( o ciò che sento di essere).
ma i sogni fanno muovere: i pensieri, le idee, le fantasie e, talvolta, le realtà.
sognare è un atto individuale e intimo che può far muovere una persona per percorrere una strada: quasi mai si raggiungerà quel sogno iniziale perchè esso si trasformerà, mutando, evolvendo, lasciando una traccia di percorso di vita.
a volte le tracce saranno spezzettate, a volte i sogni molto distanti, a volte vicini.

il muoversi, il creare la propria vita partendo da un sogno (e poi pian piano prendendoci la mano se ne aggiungeranno sicuramente altri e altri ancora...) è il passaggio che reputo educativamente importante: il passaggio da un sogno pensato ad un'azione che possa avvicinare nella realtà l'oggi al domani, a tra uno due tre dieci anni.
e ciò è possibile solo se si ribadisce l'importanza di sognare. e di crederci.
insegnarlo ai bambini, ai ragazzi, ai giovani e agli adulti di oggi è necessario per non chiudersi dentro un dato di fatto, già accaduto e passato, consolidato e immutabile per lasciare spazio al futuro. un futuro da decidere, da prendere in mano, dove la responsabilità va di pari passo con il piacere che sognare porta con sé.


giovedì 13 dicembre 2012

noi, loro e la rete

la domanda da cui sono partita è: che rischi vediamo da adulti e da professionisti nelle socializzazioni on line dei ragazzi?
ho provato a far girare la domanda sui social che utilizzo e nei gruppi di professionisti (fb: Educatori, Consulenti Pedagogici e Pedagogisti; linkedin: Attraversamenti Pedagogici) quello che emerge è che la preoccupazione che "loro" (i giovani, ndr) ne sanno più di "noi" da un punto di vista tecnico ci mette tendenzialmente in scacco.
questo fatto ci ammutolisce, ci toglie le parole di bocca.
io credo, e lo dicevo qualche settimana fa in una discussioni di Attraversamenti Pedagogici su Linkedin che chi professionalmente si occupa e incontra i ragazzi non può prescindere dal fare "click", da sperimentare la rete.

ma c'è una differenza e una difficoltà altissima: da una parte fare click per se stessi, per comprendere quali regole di comportamento e quali possibilità la rete offre, dall'altra fare click con i ragazzi (non intendo solo la sedia accanto e lo stesso pc su cui lavorare...ma anche a distanza, provare a stare nei loro contesti, comprendendo quali utilizzi ne fanno, in che modo, con che finalità, ecc)
 

la prima opzione (usare la rete per se stessi) permette di comprendere funzionamenti, possibilità, rischi dello strumento in sè, del web come mezzo, come canale.  
la seconda opzione (con loro) permette di comprendere i rischi e le possibilità che un ragazzo/a incontra o può incontrare e può permettere a mio avviso, un accompagnamento alla navigazione, dove loro sono i maestri strumentali e dove tocca a noi porre le domande difficili: a cosa serve, come lo usi, cosa comporta, cosa succede, che distanza c'è tra le socializzazioni (ma anche le informazioni) digitali e quelle fisiche, concrete, toccabili con mano, ovvero sviluppare un senso critico.

la domanda allora è se i ragazzi sono strumentalmente più competenti di noi nell'utilizzo del mezzo, noi siamo più competenti di loro (i ragazzi) nell'articolare le domande di cui sopra? e riusciamo a farlo on line??   
quest'ultima domanda rimane per lo più sospesa: è possibile? e se si, chi lo sta facendo? chi si sta occupando di ciò? o vogliamo lasciare i ragazzi in questa posizione da soli? vogliamo prenderci questa responsabilità?
non so voi, ma io no.

sabato 24 novembre 2012

prima di scrivere, controlla che il cervello sia collegato

il suicidio di Davide, ragazzo dai pantaloni rosa, rimbalza sulla cronaca di questa settimana come atto legato ai commenti, agli insulti, alle prese in giro che riceva (non solo ma prevalentemente) su facebook.
mi chiedo allora perchè continuiamo a pensare che questa (proprio questa, quella della rete internet che sto usando anch'io ora) sia il frutto di una comunicazione virtuale.
le comunicazione sul web sono reali e come tali possono fare molto molto male.
la domanda che mi viene da fare è se, tolto il corpo che nelle comunicazioni fisiche ha una notevole importanza, quello che rimane in una comunicazione sul web non sia ancora (o possa essere) più incisivo: nella comunicazione fisica il linguaggio non verbale può sottolineare ma anche alleggerire le parole, gli da peso e forma.

negli scambi con alcuni ragazzi che incontro o di cui seguo le tracce sul web nei vari social, esistono per lo più commenti; e questi sono schietti, graffianti, secchi.
ecco quello che forse la comunicazione digitale ha di scarto dalla comunicazione fisica: mancano il media corporeo, i ragazzi come riescono a rendere in toto la comunicazione che vorrebbero passare?
oppure, se, come mi pare, non se ne accorgono e dunque non ci pensano, questo cosa comporta?
o ancora: e se invece la possibilità che il web offre è quella di dire le cose come le si pensano senza mediazioni, che ragazzi abbiamo davanti?

non so che percezione abbiano gli "amici" di Davide della relazione che sul web avevano instaurato con lui ma credo che vadano aiutati a comprendere che le relazioni contano tantissimo nella vita di ciascuno e che la comunicazione (digitale, fisica, verbale o non verbale) è la base di una relazione.
e che dunque di questa ci si deve occupare: curare la comunicazione perchè incide sulle nostre relazioni e sulle nostre possibilità di essere domani.
un mio professore delle medie aveva scritto un cartello in classe "prima di parlare, controlla che il cervello sia collegato".
ecco: questo va ricordato, detto e stradetto a tutti coloro che il web lo usano. in particolare ai ragazzi che stanno in quello (splendido) periodo della vita in cui ci si forma come adulti, ad un passo dall'essere le donne e gli uomini di domani e che hanno la grande possibilità di avere delle relazioni in carne ed ossa contemporaneamente alle relazioni digitali.



lunedì 5 novembre 2012

connessione

Ho appena visto il video della Zanardo SENZA CHIEDERE IL PERMESSO che consiglio caldamente di vedere (e rivedere) e mi viene nella testa un'idea.
Forse più un abbozzo, un grumo d'idea.
Che ci sia bisogno di connettere, di mettere in connessione le preoccupazioni, i pensieri e le parole di chi si sta occupando di adolescenti e giovani a vario titolo provando a vedere partendo dal proprio ruolo per guardare a questa (ricca) generazione che ci sta alle spalle.
La Zanardo dice, correttamente, che sono molto molto preoccupanti i dati incrociati tra i giovani che ne studiano ne lavorano: la letteratura anglosassone li definisce NEET (Not in Educational, Employment or Traning), a me non piace molto ma sto ancora cercando un nome che mi paia adeguato.Ecco che questi ragazzi non li si può incontrare come fa la Zanardo (ma anche Gherardo Colombo o Cavalli sul tema della legalità) nelle scuole. Questi ragazzi, se ci interessano, li dobbiamo incontrare fuori da scuola e fuori da scuola, nelle serate pubbliche non li troveremo mai. Li si incontra invece in quei servizi e progetti che "abbassano la soglia" occupandosi del tempo libero (che è un paradosso, diciamocelo!) e che (però) costruiscono per molti di loro l'unica realtà dove incontrare adulti al di fuori delle mura domestiche.

In una di queste realtà, un mese fa, abbiamo organizzato GIOVANI SGUARDI AL FEMMINILE, una serata per parlare degli sguardi, delle parole, dei pensieri sul femminile che hanno i ragazzi e le ragazze. Abbiamo inoltre chiesto alle associazioni del paese di contribuire da adulti immaginandosi cosa potessero o volessero dire ai giovani attorno al tema.
Il risultato è stato una serata con una sessantina di persone presenti di cui una ventina di ragazzi.
I ragazzi hanno mostrato una grande voglia di prendere parola attorno ad un tema non certo semplice e di dire agli adulti presenti come loro "sono" e qual'è la realtà delle relazioni tra i due sessi.

Tra pochi giorni, in un comune vicino, presenteremo il cortometraggio A CORTO D'IDENTITA' scritto, interpretato e coralmente diretto da un bel gruppo di ragazzi con la mano esperta di un regista, di un fotografo e di un tecnico del montaggio. L'abbiamo guardato in anteprima con i protagonisti la settimana scorsa e la reazione a corto finito è stata, oltre che di sorpresa per come era venuto, di cercare di spiegare cosa avevano fatto e quale rappresentazione di se hanno dato. "il corto ti lascia li a chiederti come sono i ragazzi d'oggi, come un punto di domanda...alla fine non lo sappiamo bene neanche noi come siamo..."

L'intuizione che mi viene è che progetti come questi avrebbero bisogno di un respiro che vada oltre al proprio "orticello". Non so in che forma, ma sarebbe interessante provare a connettersi, intrecciarsi, meticciarsi con altre esperienze per amplificare queste voci e per dare ai ragazzi la possibilità di fare esperienze altre, di veder tese altre mani, di adulti che hanno voglia di aiutarli a crescere.
Creare una rete di adulti che crede in loro sarebbe proprio una bella novità...

mercoledì 31 ottobre 2012

un paese come tanti

provincia est milano, un paese; in questo paese non accade nulla di straordinario, potrebbe essere un paese come un altro, un paese campione che può valere per tanti altri.

in questo paese i rappresentanti dei servizi educativi, delle associazioni sportive, degli oratori, delle forze dell'ordine (polizia locale e carabinieri) si incontrano una volta al mese per provare a dar voce alla cultura che il territorio ha dei giovani; lo sguardo è quello degli adulti che quotidianamente li incontrano.

Dalla prima riunione nasce un idea: i giovani sono lasciati fuori dagli spazi della vita del paese. a loro è chiesto (o imposto) di andare altrove, di non far rumore, di non incontrarsi proprio li, sulla panchina sotto la casa di un signore che insistentemente chiama i vigili. gli oratori sono aperti per le attività correlate in momenti precisi della giornata e della settimana.  
I ragazzi si trovano "e fanno rumore" nel grande parcheggio al limitare del paese o nei parchi, nascosti tra panchine, cespugli e nubi di fumo; allora i ragazzi cercano altri luoghi, ma essendo i paesi limitrofi fondamentalmente identici al nostro paese modello, non c'è spazio che non sia isolato, squallido o nascosto per incontrarsi.
non proprio l'immagine dell'accoglienza, direi.

forse, e non sono certo la prima a dirlo, servendo altri spazi, ci si trova a "cazzeggiare su fb"(come recita il profilo di un ragazzo) rinchiusi nella propria casa, nella propria camera, nel proprio profilo.
come adulti e che dell'educazione si occupano professionalmente credo che siamo tenuti a provare a riflettere attorno a quali culture stiamo attraversando per provare a dare direzioni differenti, ad alzare gli sguardi, i dubbi e le domande attorno alla domanda: quale spazio hanno i giovani oggi? gli chiediamo di contribuire, ma noi, che idea di accoglienza diamo?



partendo dal presupposto che nelle relazioni digitali manca la dimensione fisica, una domanda che pongo è per esempio cosa cambia in termini di sostegno, di tenuta a momenti di fatica una rete di relazioni con persone in carne ed ossa e tra conoscenze in rete? 
E' notizia di oggi che dalle analisi dell'Istat i giovani italiani risultano al 35,1% di disoccupati (ovvero di chi cerca lavoro attivamente e non lo trova, a cui dovremmo aggiungere il resto, ovvero di chi neanche lo cerca il lavoro). in questa situazione di difficoltà evidente, qual'è il vantaggio dell'essere in relazione digitale con un numero significativo di coetanei?
e ancora, se nelle relazioni fisiche in un territorio come il sopracitato paese modello, posso sentirmi parte di una comunità, nella dimensione digitale, cosa accade? e ciò come modifica la mia percezione di ciò che faccio, agisco e dico?
e ancora, siccome non corrisponde a realtà fisica una comunità di soli adolescenti e giovani ( chi si ricorda dello splendido Il signore delle mosche?), cosa accade li dentro?
nel web, ci si sente accolti? e se si, c'è qualcosa di questo sistema che possiamo apprendere per poterlo portare nelle relazioni e nelle comunità fisiche?



nb: quando parlo di relazioni e comunità digitali intendo quelle sul web, che non sono a parer mio, virtuali per nulla. sono digitali.
quando parlo di relazioni e comunità fisiche intendo quelle in carne ed ossa perchè entrambe (digitali e fisiche) sono relazioni.

domenica 28 ottobre 2012

E

riflessione al volo, da una giornata uggiosa.

qualche mese fa non avrei mai chiamato così questo blog.
c'era E il mensile di Emergency e non avrei mai accostato il nome del mio blog a questa bellissima esperienza editoriale.
ma, come spiegava il direttore Gianni Mura in un'intervista a Radiopopolare , in tempi di crisi dove le lobby della carta stampata si sentivano in caduta libera, E nuovo, bellissimo e geniale non ha resistito.
mi trovo ancora oggi a tre mesi dall'uscita dell'ultimo numero, a sfogliarne le pagine a leggere articoli persi o a rileggerne per comprenderli meglio.

ecco che in fondo, il nome di questo blog vuole essere un omaggio ad una (purtroppo breve) esperienza d'eccellenza.

http://www.emergency.it/index.html


domenica 21 ottobre 2012

sesto senso

in un solo colpo, ieri sera, nella alta Val Seriana senza connessione, ho trovato due articoli in un solo colpo che parlano di web.
La riflessione che ne è scaturita e che continua a ronzarmi in testa parte dall'omicidio di Carmela Petrucci, la ragazza di Palermo che fa scudo alla sorella dalle violenze del suo ex e muore.

Carmela aveva 17 anni, sua sorella Lucia un anno in più.
Lucia aveva conosciuto il suo ex fidanzato in rete. 
i genitori, di questo fidanzato non sapevano nulla, come non sapevano nulla delle minacce che lui le faceva.
mi chiedo allora se sarebbe cambiato qualcosa se si fossero conosciuti fisicamente prima che digitalmente.
Mi chiedo se il corpo, il fisico, con tutto il suo linguaggio non esplicito, non segnato, ma da interpretare, avrebbe dato qualche segnale a Lucia. si, qualche segnale di fragilità, di aggressività, perchè non credo che lui, Samuele, sia diventato matto d'improvviso...
o forse, visto che Lucia e Samuele dopo essersi conosciuti on line si sono incontrati fisicamente, forse questo modo di incontrare persone nuove (sul web appunto) non stia facendo disabituare i ragazzi ad una lettura del linguaggio non verbale e di reazione di quel sano sesto senso che ti fa avvertire il pericolo anche quando non è esplicito, quando non lo vedi proprio nitidamente ma lo intuisci.

e se questa lettura non è una fantasia, abbiamo una bella "gatta da pelare".
Carmela è la 100° donna uccisa in Italia nel 2012 dunque so che non può essere statisticamente un dato interessante visto che le altre 99 non hanno avuto tutte questa storia. Ma Carmela e Lucia sono ragazze e come tutte (o tante, tantissime) hanno un profilo, navigano, chattano, conoscono altri in rete e questo a me preoccupa.
Non del navigare in se, non del socializzare in rete, ma dell'assenza di alcuni tasselli che possono aiutarle a stare in rete senza morire.

Sempre ieri sera leggo su D de "La Repubblica" un articolo di Mara Accettura dal titolo "Il mio amore immaginario" dove la giornalista racconta di amori nati nel web e prova a darci delle coordinate di lettura:
"(...) Per certi versi il virtuale funziona meglio (del fisico, ndr) <è molto liberatorio. Ti trovi a dire e fare, o meglio a scrivere, cose che faccia a faccia...Mai! o quantomeno avresti un sacco di pudore all'inizio"

Ecco, credo che questo sia uno dei punti: la mancanza di relazione fisica fa saltare i meccanismi di difesa naturali che normalmente ci fanno aspettare del tempo, avere "pudore".
e se questo ribalta e manda in confusione delle donne (l'autrice dell'articolo non specifica l'età ma non si sta parlando di ragazze) immaginate cosa possa succedere nell'universo già in fase sperimentale di un'adolescente.
Forse è il caso di parlarne. forse è il caso di aiutare le ragazze d'oggi a capire le relazioni. 
perchè ce n'è proprio bisogno. 
sia di stare in relazione che di capire come funzionano.

giovedì 18 ottobre 2012

il blog si presenta

E di Educazione si occupa, neanche a farlo apposta, soprattutto di Educazione.
di Educazione con la "E" maiuscola, di quella che è fatta perchè pensata, voluta e sostenuta da chi la fa e la pensa con grande fatica. è uno spazio del pensiero da condividere, da rendere pubblico. perchè credo che rendere pubblico un pensiero che guarda oltre se stessi sia già una grande azione di Educazione.

ma c'è di più.
E di Educazione non si occupa solo di Educazione, ma del rapporto, delle relazioni che l'Educazione ha con altri (campi del sapere, competenze, sguardi, professioni, soggetti e oggetti).

in particolare mi occuperò di giovani, ragazzi, adolescenti, preadolescenti, delle loro famiglie e dei loro mondi. con un'attenzione particolare alla relazione con il web.
 


l'io al tempo del web

Mentre leggevo il post qui sotto, vedevo "l'uomo contemporaneo" di cui parla Mottana, non so se a ragione o torno, come la presentazione dei ragazzi, dei teenagers, teens di questi anni. e probabilmente anche di quelli di domani.

credo che dunque tocchi a noi (educatori e consulenti pedagogici, psico e sociologi,...) tener presente dei vari aspetti che il post mostra:
dalla "nuova corporeità"  alla capacità di "sfuggire alle vecchie ipoteche totalizzanti".
non semplice il quadro, certo.
ma una complessità reale e questo post, forse, ci aiuta ad addentrarci per comprenderla meglio.

"l'uomo contemporaneo non è più il fulcro di un organismo ben regolato dalle leggi dell'identità (...) l'IO di oggi è un io d i f f u s o, un io quantico, ambiguo nella sua stessa struttura materiale, onda e particella (...)
l'Io di oggi oscilla tra materia e immateriale, al confine tra il virtuale e il reale (..)" dice Paolo Mottana in questo post qui sotto 

 per il post di Mottana:
http://contreducazione.blogspot.it
(lasciate perdere gli ultimi minuti del suo video sul suo blog, please! per il resto, il blog merita, anche se è graficamente di difficilissima lettura).