giovedì 27 febbraio 2014

#pedagogiaescuola - Ricevo il lunedì

Ogni mese il gruppo Facebook "Educatori, Consulenti pedagogici e Pedagogisti" propone un tema, una riflessione educativa, alla quale partecipare con un proprio contributo scritto.
Una volta raccolti, quest'ultimi vengono ospitati e divulgati dal circuito blogger di Snodi Pedagogici.

Il tema del mese di febbraio: Pedagogia e Scuola

"Con l'ingresso nel circuito scolastico i bambini smettono di essere “esclusiva proprietà” delle famiglie ed entrano a pieno diritto nella società come soggetti. Subito dopo il contesto educativo per eccellenza (la famiglia) è la scuola il luogo in cui bambini e ragazzi passano la maggior parte del loro tempo.
Come e quanto viene percepito dalla scuola e dai suoi attori il ruolo educativo che viene loro chiesto? Qual è l'anello mancante nel processo insegnamento-apprendimento? Come vivono la scuola coloro che ci lavorano?”

Buona lettura.




#pedagogiaescuola
RICEVO IL LUNEDÌ

di Cristina Maggi

A settembre, come tutti gli anni, la scuola dove insegno francese mi chiese di comunicare il mio orario di ricevimento e io scelsi il lunedì alla quarta ora. Finora, i 60 minuti più solitari dell’intera settimana. Non capisco. So che l’80% dei miei alunni non userà mai più una parola francese dopo le scuole medie, ma non è questo il punto. Il confronto coi genitori mi è necessario proprio perché ho molti alunni e poche ore da passare con ciascuna classe: come posso sfruttare al meglio questo tempo con loro non solo come professoressa ma soprattutto come educatrice, se non so quasi nulla di loro? La famiglia e la scuola sono i principali sistemi educativi nella vita di un ragazzo in età scolare, la comunicazione è indispensabile! Grazie ai colloqui vengo a conoscenza di piccole e grandi difficoltà, potenzialità, aspirazioni, desideri, curiosità, preferenze e soprattutto paure. Per me è importante sapere come relazionarmi in certi casi.
Per esempio, dopo aver avuto un colloquio con la mamma di L., ho scoperto che l’alunna è in questione è ancor più timida di quel che immaginassi, e che l’idea di parlare una lingua straniera davanti all’intera classe la paralizzava. D’accordo con la madre, che da qualche mese la incoraggia (obbliga?) ad alzare la mano quando si sente pronta, per qualche settimana ho interpellato L. solo quando era lei a volerlo. E infatti, in meno di due mesi, L. ha acquisito sicurezza e adesso, quando la chiamo “a sorpresa”, riesce a lasciarsi andare quel tanto che basta per parlare un francese corretto, anche se sussurrato. Per me è un risultato enorme.
Ogni colloquio è stato un successo. L’interazione tra scuola e famiglia rappresenta non solo un utile momento di confronto, ma anche un atto di “legittimazione”:  vedendo che i genitori danno importanza a un docente, a tal punto da volerlo incontrare, lo studente è portato a non sottovalutarne il ruolo e, soprattutto, si sente scoraggiato dal raccontare bugie (o dall’omettere certe verità), che verrebbero comunque scoperte nel corso del colloquio. 



Il fatto che mi sconcerta di più è la leggerezza con cui molti ragazzi si propongono di affrontare la scuola media: non sono disposti a sacrificare il loro tempo libero per dedicarsi a uno studio approfondito e costante. Spesso, interrogandoli, riesco a ricavare solo qualche informazione rimasta impressa dopo la spiegazione in classe. Molti studenti fanno gli esercizi a casa col libro aperto alla pagina della spiegazione senza aver prima studiato; qualcuno cerca di studiare l’intero capitolo il giorno prima della verifica. In questi (numerosi!) casi, l’interazione tra scuola e famiglia è indispensabile: solo così la situazione può essere affrontata con efficacia e trasparenza.
Collaborazione! Siamo alle prese con la generazione dello smartphone, della banda larga, della tecnologia veloce, del tutto e subito. Questo sicuramente apre la mente a un sacco di nuovi stimoli, ma scoraggia davanti all’impegno e ai sacrifici per ottenere qualcosa. Come dimostra questo dialogo tra me e A., una mia alunna, durante una verifica:

A: prof, ma questa verifica è difficilissima, non riesco neanche a capire cosa devo fare!!!


io: hai letto la consegna?

A: no vabé non ancora, ma si vede che è difficile, ci sono un sacco di spazi vuoti, devo scrivere tutto io!!!

Educare è faticoso, difficile, e spesso ci pone nell’odiosa condizione di essere nei panni del cattivo che sgrida, urla, nega.  Joseph Joubert, un famoso filosofo francese, diceva che “Educare è un modo di amare”. La famiglia lo sa, che educando un figlio compie l’atto d’amore più grande che si possa immaginare. E lo sappiamo anche noi docenti che amiamo il nostro lavoro. Per questo apprezziamo ogni collaborazione, ogni informazione, ogni colloquio con voi genitori. Venite a trovarci! Io ricevo il lunedì ;-)

-------------------------------


Cristina Maggi, insegnante di lingue, inizia a lavorare come supplente nel 2006, innamorandosi istantaneamente e follemente del lavoro di professoressa. Nel frattempo continua i propri studi e si laurea in Lingue e Letterature Europee e Panamericane all’Università degli studi di Bergamo, specializzandosi in Lingua e Letteratura francese. In questi anni di insegnamento ha avuto la fortuna di incontrare gli studenti più incredibili del mondo, e grazie a loro si convince ogni giorno che questo è davvero il lavoro che vuole fare “da grande”.


-------------------------------



Tutti i contributi su #pedagogiaescuola verranno raccolti qui

I blog che partecipano:

#pedagogiaescuola - storia di una prof.


Ogni mese il gruppo Facebook "Educatori, Consulenti pedagogici e Pedagogisti" propone un tema, una riflessione educativa, alla quale partecipare con un proprio contributo scritto.
Una volta raccolti, quest'ultimi vengono ospitati e divulgati dal circuito blogger di Snodi Pedagogici.


Il tema del mese di febbraio: Pedagogia e Scuola



"Con l'ingresso nel circuito scolastico i bambini smettono di essere “esclusiva proprietà” delle famiglie ed entrano a pieno diritto nella società come soggetti. Subito dopo il contesto educativo per eccellenza (la famiglia) è la scuola il luogo in cui bambini e ragazzi passano la maggior parte del loro tempo.
Come e quanto viene percepito dalla scuola e dai suoi attori il ruolo educativo che viene loro chiesto? Qual è l'anello mancante nel processo insegnamento-apprendimento? Come vivono la scuola coloro che ci lavorano?”

Buona lettura.



#pedagogiaescuola 
 STORIA DI UNA PROF....
che non voleva fare la prof!

di Denise Paroni

È da qualche giorno che sto riorganizzando il pensiero per poter scrivere questo intervento e mi viene sempre più complicato trovare il modo- magari anche organico- di riassumere in poche e chiare righe i miei 8 anni nel mondo della scuola. I miei 8 anni precari nella scuola. I miei meravigliosi 8 anni “tra i banchi” (perché dietro la cattedra è una noia mortale), i miei “8 anni di solitudine” tra i corridoi e le sale professori. I miei 8 anni “al cardiopalma” di gite, programmazioni, interventi mirati, scrutini e consigli straordinari. Ovviamente gli aggettivi attribuiti agli anni e ai luoghi, fisici o ideali che siano, corrispondenti non sono affatto casuali.

Non mi sono ancora presentata e ho già messo sufficiente carne al fuoco probabilmente. Sarà un vizio del mestiere. Sono un’insegnante di spagnolo che per 5 anni ha lavorato nella scuola media e da 2 anni lavora nella scuola superiore, in un istituto tecnico. Sono un’insegnante che per i primi 2 anni da prof. Ha litigato- come mi piace sempre dire- con il suo lavoro… all’inizio infatti non ero convinta di voler intraprendere questa strada, la breve strada verso la SCUOLA REALE e la contorta e ripida salita di montagna dell’essere “in ruolo”. Perché dico questo? Perché nella scuola reale, purtroppo, un giovane laureato…ci si trova catapultato in mezzo nanosecondo. Basta mandare un curriculum, a volte, e già sei arruolato. E già sei lì, davanti ad almeno 20 visini sconosciuti, diversi e con bisogni diversi. A me è successo così: sono capitata A CASO nel mondo della scuola reale, in 2 secondi con il registro in mano e un programma da portare avanti. Avevo 25 anni e mi ero laureata circa 5 mesi prima… L’incoscienza della gioventù, il mio vissuto da studentessa ( e non ve lo spiego….mamma mia…un disastrino)  le precedenti ed estemporanee esperienze in campo educativo, la mia faccia tosta di chiedere sempre tutto a tutti e un po’ di sano buon senso, sono state le mie bussole per il mio primo anno da prof che, tra l’altro, probabilmente è iniziato da quando, nel mese di dicembre, ho iniziato a scrivere il registro a penna ( perché prima ero talmente in panico da scriverlo a matita!!!!?) e ho smesso di ossessionarmi con : “io non ho fatto nessun colloquio…lo Stato è ammattito…ti manda in classe ma tu potresti essere un serial killer!!!!!!!”

Eh sì, perché non si può parlare di scuola senza considerarla nella sua realtà pratica: una buona fetta di insegnanti, entra in classe solo per i titoli acquisiti durante l’Università…in 8 anni ho avuto l’onore- perdonatemi- di fare un colloquio preliminare prima di entrare in classe SOLO CON UNA PRESIDE. Questo non è forse un dato importante e saliente per poter valutare il ruolo della scuola nella nostra società attuale? Questo non sottende una ben precisa concezione della scuola?

Quindi, in primis, la scuola è luogo- secondo la pianificazione politica- in cui si acquisisce un sapere, non importa come, non importa perché. E soprattutto questo implica che una laurea corrisponde a “saper trasmettere una conoscenza” … ci rendiamo conto del posto che occupa l’educazione/la crescita/la percezione del sé e degli altri/le relazioni in un quadro alla Munch come questo?

Perdonate la provocazione, che tra l’altro va anche a mio discapito da un certo punto di vista, ma i primi 2 anni della mia vita da prof sono stati scanditi da questi e da un milione di giganteschi altri quesiti. Ed è per questo che ho litigato con il mio lavoro per un po’.
L’altro inquietante interrogativo che accompagnava le mie corse tra una classe e l’altra (perché di classi all’anno ne avevo almeno 9) riguardava un non ancora ben focalizzato rapporto “libertà altrui/gestione del potere da parte mia” che non mi tornava. Infatti, la Scuola in cui mi sembrava di stare era una Scuola in cui la relazione educativa si presentava un po’ troppo rigida per i miei gusti…ed io mi sentivo intrappolata tra la volontà di stare in relazione con i ragazzi (che non chiamerò appositamente alunni- lo trovo un termine molto freddo…piuttosto utilizzerò studenti) e ciò che la Scuola mi permetteva di fare. Mi sentivo male, stretta, invidiavo tantissimo gli educatori che incontravo a scuola…loro sì, che potevano essere in relazione con i ragazzi, io no, io ero la PROF.

È bastato poi un mese di mensa con i ragazzi, qualche intervallo di vigilanza e un viaggio d’istruzione in Spagna con 3 terze medie a farmi scendere da quel piedistallo di insicurezze e barriere che da sola mi ero creata: essere IL PROF non funziona…lì, arroccato dietro la cattedra, impaurito dalle incombenze burocratiche e dal “verbalese” che la Scuola impone, censore dell’alunno che chiacchera, scribano di note a volte inutili….impaurito dal dover gestire un potere immenso che corrisponde ( e lo dice anche Spiderman) a gigantesche responsabilità.

Ho cominciato allora a stare in mezzo ai banchi, a non aver paura di essere la prof che volevo essere: con i sui limiti e i suoi errori, i suoi pregi e i suoi scleri, con la sua voglia di Ascolto, di mettersi in discussione, di spiegarsi e di stare con i ragazzi. Ho iniziato a sorridere in classe e ho scoperto che questo mi fa sorridere anche e soprattutto fuori dalla classe. Anche i miei studenti sorridono di più. Ho imparato e sto ancora imparando ogni giorno a farmi domande, a chiedere ai miei studenti come stanno, a cogliere i malumori e i buonumori striscianti in classe. Ho imparato a crederci, anzitutto, perché se non ci credi tu…che lo fai il professore…i tuoi ragazzi, non ci crederanno mai. E sono poi arrivati anche “rinforzi positivi” per me dai miei studenti. Cito uno dei più belli: “Prof, si vede che le piace il suo lavoro, lei quando spiega si diverte più di noi! Mi piace fare lezione con lei!”


Ho raccontato un po’ cosa, secondo me, serve a un professore per “credere” in quello che fa…ma i ragazzi…allora…in COSA devono credere? E soprattutto COME devono arrivare a “credere” nella scuola?
Cominciamo dal COSA devono credere. Inizio dal piano prettamente didattico perché è più corto da spiegare ed è secondariamente-e qui qualche collega prof potrebbe non essere d’accordo- interconnesso con il piano della crescita globale dell’individuo che è sicuramente l’aspetto primario da considerare.
I miei studenti, per quanto riguarda la didattica, “devono credere” che il presente dell’indicativo in spagnolo possiede diversi tipi di irregolarità, che il congiuntivo si usa nelle subordinate temporali quando nella frase principale è presente un’azione sentita come futura, che Cervantes ha scritto il “Quijote” e che la guerra civile spagnola si può definire come una sorta di prologo della Seconda Guerra Mondiale… (elenco volutamente parziale e per casuali sommi capi)

Devono credere a queste cose perché io li devo convincere attraverso la solidità della mia preparazione in spagnolo che ovviamente è e sarà sempre “in fieri”. Dico questo perché ci sono sempre degli argomenti in cui un insegnante è poco convincente e gli studenti lo sentono. Hanno la straordinaria capacità di vedere oltre, grazie a geniali marchingegni ai raggi X. Loro ti vedono sempre…così come tu, caro prof, li becchi sempre. Non basta però essere solidi nella preparazione, l’altra grande preoccupazione del prof è COME far passare i concetti, tenendo conto dell’età, dei bisogni, del tempo a disposizione e –perdonatemi- dell’ora in cui si svolge la lezione! (Io ogni anno prego, oltre per avere un lavoro a tempo pieno, anche per avere sempre le prime ore. Datemeli addormentati ma freschi, a svegliarli penso io!!!)

Ed è da questo COME poi che si passa all’altro piano, quello della crescita personale, e da qui si si crea un altro COSA. Mi spiego: in base a come io, prof, gestisco la mia lezione passando contenuti, al grado di partecipazione e coinvolgimento dei miei studenti, alla motivazione mia e loro che diventa motivazione di squadra a raggiungere un obiettivo, si crea un altro COSA, molto più grande; un COSA fatto di valori, confronto e relazioni. Valori etici sottesi a contenuti didattici che sono OPPORTUNITÀ per l’insegnante e per i ragazzi di generare discussioni, riflessioni sul sé e il mondo, pratiche relazionali che dovrebbero formare il gruppo e le persone a cui esso appartengono per camminare un po’ da soli e con gli altri in mezzo al mondo. Insomma, l’interazione è tutto in classe e non lo dico solo perché insegno una lingua straniera.

La scuola è la prima vera esperienza extra-famigliare di democrazia che un bambino vive. È uno dei pochi nervi su cui poggia il suo futuro personale e lavorativo. E perché parlo di “nervo” è facilmente intuibile: gli scoraggianti dati del cosiddetto drop-out scolastico sono l’emblema del fallimento di un certo tipo di insegnanti, di scuola, di società, di studenti. E in questo caso il nervo, diventa un nervo scoperto che può compromettere e cambiare profondamente il futuro di tanti ragazzi che nella scuola non trovano spazio per crescere ed esprimersi. Nel mio “precedente ordine non casuale”, i ragazzi stanno all’ultimo posto delle responsabilità ma non ne sono di certo privi.
Credo che però il gruppo degli “adulti” della scuola abbia il dovere di aiutare a condurre i ragazzi verso un percorso formativo motivante promovendo nell’agire quotidiano a scuola una visione positiva dell’atto stesso del lavorare/far fatica e della comunicazione/ascolto dell’altro come forma di crescita anche del sé.

Un’ultima considerazione poi mi fermo: è sempre più difficile farli lavorare, muovere, attivare. L’abulia che la nostra società trasmette si concretizza nella “pigrizia” dello studente contemporaneo. Io credo che i ragazzi oggi non siano solo e semplicemente pigri. I ragazzi sono proprio scoraggiati perché, tra l’altro, sono estremamente confusi e decisamente convinti che i loro sforzi non li porteranno a nulla.  Tanto vale farsi trasportare dalla corrente perché comunque il più furbo è il vincente. “E quello che studia è il più pirla!” -affermazione che spesso faccio in classe e in questa precisa forma ai miei ragazzi come provocazione. Li vedo lì, dispersi e sovra-esposti a stimoli intermittenti e sempre vari che arrivano da maccanismi d’acciaio, li vedo spesso incapaci di guardarsi in faccia tra loro e allo specchio…sono fragili e la scuola deve essere forte, i suoi insegnanti devono essere forti, i presidi devono essere forti. E la forza non deve stare solo nei perché e nella condivisione delle regole, la forza è da trovare nella motivazione a cercare sempre risposte nuove, a metterle in discussione e a riformularne di altre. Il mondo corre velocissimo e i professori, la scuola e la famiglia devono allenarsi ad essere più veloci.

-------------------------------------------
Denise Paroni è un’insegnante di spagnolo. Ha 33 anni, è precaria da 8 e attualmente sta frequentando il corso abilitante all’insegnamento. Ha lavorato per 6 anni nelle scuole medie della provincia di Milano e dall’anno scorso insegna in un istituto tecnico commerciale. Come ogni anno, dopo la fine di giugno, ignora la sua prossima destinazione.
------------------------------------

Tutti i contributi su #pedagogiaescuola verranno raccolti qui
I blog che partecipano:

lunedì 3 febbraio 2014

legalità/illegalità #2


entrare in una scuola è varcare una porta, salutare i bidelli, salire un paio di rampe di scale, aprire una porta o trovarla già aperta con i ragazzi dentro che ti aspettano.
che ti aspettano???!??
non so.

io arrivo, il mio progetto esterno, due volte in ciascuna classe e due o tre "paggi" di quinta a fare da peer educators.
una scuola come tante, carica di testosterone per l'indirizzo che ha, con ragazzi che dovrebbero essere all'università ma sono in seconda, in terza.
una scuola fuori dal tempo per le materie che insegna, per il nome che ha.
ma i ragazzi, quelli dentro, quelli che fanno la scuola insieme ai professori, quelli sono perfettamente in tempo.

il percorso si chiama Devia: è partito lo scorso anno dall'idea di un ragazzo di quarta che parlando con una professoressa ha chiesto se non era possibile fare qualcosa per il bullismo che lui vedeva dilagante nella scuola.
la professoressa raccoglie la palla, chiede in comune se c'è qualcosa e una collega varca la soglia.

e trova un mondo di possibilità per parlare di un argomento scomodo che partendo dal bullismo arriva a ragionare attorno a ciò che c'è di legale e di illegale nel mondo che li circonda, a partire dalla scuola.
questa è una scuola che a loro piace per lo più: la dimensione laboratoriale, i progetti che entrano a scuola, un gruppetto di professori che ci credono molto, un bidello simpaticissimo.

in pochi mesi prima e dopo l'estate, con un gruppo di ragazzi "grandi" si è ragionato attorno al tema della legalità (e dell'illegalità). si è parlato di bullismo, di sostanze, di web per arrivare alla conclusione che il clima di classe incide molto sia sul rendimento dei singoli (sul successo formativo, diremmo noi) sia sul benessere della persona. e che "se uno sta bene, di cazzate ne fa meno, almeno."

con i grandi si è ragionato anche attorno al tema della responsabilità e con questo della necessità di "formare" gli altri compagni. sono stati così realizzati dei piccoli percorsi in ogni classe con temi e modalità differenti tra prima, seconda e terza. i grandi a fare da tutor del percorso, un educatrice in classe a condurlo. pensare, pensarsi. capire cosa si fa e come si sta. e che le due cose sono collegate.

ma cosa c'entra tutto ciò con la legalità?
quella è stata la dimensione sempre discussa sulla quale ci siamo (classe, tutor ed educatrici) affacciati: cos'è quel confine tra legalità e illegalità? com'è fatto? cosa c'entra con la scuola?

abilissimi a trovare ciò che di illegale li circonda, soprattutto quando sono le istituzioni che conoscono che le attuano (la scuola, il comune, l'associazione sportiva,...) faticano a vedere il proprio pezzo e ciò che è quotidiano: "si va bhe, ma quello è normale!"

ma la fatica maggiore è guardare in prospettiva, ad un futuro che non sanno e che nessuno li aiuta a vedere: pochi sogni nei cassetti, tanti desideri immediati e parole di canzoni che colpiscono per l'intensità e per la rapidità.

ma forse, anche questo furto di sogni, non è illegale?



...........................................................................................................
il percorso Devia è stato realizzato all'IPSIA di Melzo da Progetto Itinera. Progetto Itinera si occupa di ragazzi tra gli 11 e i 18 anni ed è frutto della coprogettazione tra due comuni (Melzo e Liscate -Mi-) e un'Ati composta da tre realtà (Coop. Milagro, Coop. Spazio Giovani, Parrocchia S.M. delle Stelle di Melzo)




lunedì 27 gennaio 2014

#educazionenaturale - il valore di un caffè



viene proposto ai membri un tema educativo.
Chi raccoglie la sfida scrive un articolo al riguardo. I contributi, poi, vengono ospitati nei blog presenti in Snodi Pedagogici  e divulgati nei vari social con un hashtag particolare in un determinato giorno.

Questo mese, gennaio, tocca a "l'Educazione nasce naturale", tema lanciato da Alessandro Curti nell'assemblea  del 16 novembre, svoltasi a Milano.
Cosa ne pensano i genitori dell'educazione?

"L'educazione nasce in un ambito naturale, la famiglia, il gruppo, il clan, la tribù, in cui era necessario che i grandi insegnassero ai piccoli quello che occorreva per vivere. Poi la società si è fatta più complessa è le figure educative si sono moltiplicate e in alcuni caso si sono professionalizzate per supportare quelle naturali. Ma ancora oggi la prima istanza educativa nasce nelle famiglie, nei gruppi familiari, negli spazi di socialità naturali...."

-----------------------------


 IL VALORE DI UN CAFFè

di Paola Torres


Paesaggi nuovi, nuovi volti, nuove emozioni. In più il momento di diventare mamma era arrivato. La mia prima preoccupazione: “Chi mi affiancherà in quest’avventura?” C’era papà, ci’erano i nonni, ma mi rimaneva la sensazione che oltre a queste figure indispensabili qualcosa ancora ci servisse. Capirlo non fu’ immediato, ma ormai l’avventura era già partita. Così andando di qua e di là ho scoperto che in un semplice gesto quotidiano si nascondeva uno spazio meraviglioso. Andare a prendere il caffè insieme ad altri genitori, quello spazio attorno al tavolo dove si intrecciano chiacchiere, storie, esperienze, confronti, lezioni...

Capita spesso di pensare che i luoghi dell’educazione siano limitati a certi spazi o a certe figure. Ci siamo abituati a pensare che l’Educazione sia una cosa lontana, identificandola e confondendola troppo spesso con l’istruzione, dimenticando che i più grandi apprendimenti non nascono nelle scuole e che il bagaglio di esperienze che riempiamo ad ogni passo della nostra esistenza fa di noi gli adulti che siamo. Esperienze come quella attorno ad un tavolo…

Tanti ponti in sospeso… però credetemi, quello che provo quando parlo alle mie figlie e pretendo di insegnargli qualcosa, è una sensazione di smarrimento. Anch’io sono stata piccola e allora gli adulti sembravano una cosa troppo lontana e irraggiungibile, per la loro dimensione, per le loro parole, per i loro interessi. Adesso mi trovo al posto dell’adulta ma senza la certezza di aver raggiunto quello che da piccola mi sembrava lontano. Magari perché mi sento sola e allora mi sovviene il tavolo con sopra una tazza di caffè e chi ci sta attorno, e risuona in me il detto africano, ascoltato qualche tempo fa, che recita :

Ci vuole un intero villaggio per far crescere un bambino”.

E mi ricredo, e prendo coraggio. Perché quando ero piccola, il villaggio era la grande città in cui sono cresciuta, le mie distanze erano gigantesche; piccola come sono, ho conquistato i miei posti e anche loro hanno conquistato me. E spero che i bambini di oggi possano conquistare con le proprie forze i loro posti, le loro emozioni, i loro compagni di strada. Perché sono sicura che la parola “chiave” del terzo millennio sia La Rete. Abbiamo fin tropo presente il concetto delle reti virtuali (Internet, blog, social network)... ma stiamo dimenticando la rete sociale che si costruisce nel quotidiano, negli incontri di tutti i giorni per strada, in piazza, in casa chiacchierando, con le nostre esperienze e i nostri passi. Mi piace sapermi una mamma che il mattino condivide una rete attorno ad un tavolo, dove si ha il coraggio di confrontarsi e credere nelle persone, due strumenti per camminare insieme. Come scriveva quell’uruguaiano parlando dell’Utopia…
Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l'orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare.” Eduardo Galeano.

E camminando insieme, costruiamo il villaggio (mondo) dove facciamo crescere i nostri bambini.
Ringrazio le mamme che sanno condividere un caffè!




Paola Torres, insegnate di lingue, nasce in Colombia dove cresce e studia laureandosi in lingue straniere all’Università Pedagogica di Bogotà.
Due anni di studio e lavoro a Parigi ed un master europeo in intercultura, gli fanno conoscere l’Europa di cui rimane innamorata... e poi anche intrappolata.
In Italia prosegue il suo lavoro nell’insegnamento, nella pratica più che come istituzione, concentrandosi da 5 anni (quasi 6) nell’arduo compito di mamma, nell’ambito del quale ha l’opportunità di sperimentare sul campo gli studi approfonditi sulle teorie del bilinguismo precoce.


Galleggia tra l’utopia e il sogno di un mondo migliore e lavora ad aprire le porte per farli entrare nel mondo reale.

-----------------------------

i disegni di questo post sono di Paola Torres e di sua figlia.

-----------------------------

#educazionenaturale - Educazione si scrive in verticale



viene proposto ai membri un tema educativo.
Chi raccoglie la sfida scrive un articolo al riguardo. I contributi, poi, vengono ospitati nei blog presenti in Snodi Pedagogici  e divulgati nei vari social con un hashtag particolare in un determinato giorno.

Questo mese, gennaio, tocca a "l'Educazione nasce naturale", tema lanciato da Alessandro Curti nell'assemblea  del 16 novembre, svoltasi a Milano.
Cosa ne pensano i genitori dell'educazione?

"L'educazione nasce in un ambito naturale, la famiglia, il gruppo, il clan, la tribù, in cui era necessario che i grandi insegnassero ai piccoli quello che occorreva per vivere. Poi la società si è fatta più complessa è le figure educative si sono moltiplicate e in alcuni caso si sono professionalizzate per supportare quelle naturali. Ma ancora oggi la prima istanza educativa nasce nelle famiglie, nei gruppi familiari, negli spazi di socialità naturali...."

-----------------------------


 ‪#‎educazionenaturale‬ 
EDUCAZIONE SI SCRIVE IN VERTICALE
ovvero l'educazione nasce intenzionale 
di Marta Galbiati

 

"Si però, mi raccomando, non organizzare una cosa da oratorio..."
Passa da questa strettoia una delle prime riunioni per pensare un doposcuola per i ragazzi della secondaria e poi rapidamente si scivola in una sistematizzazione di tempi, rapporti numerici, spazi, tecniche ...
... ma nella pancia continuano ad agitarsi quelle "cose da oratorio", sì, perché alle "cose da oratorio" da sei anni e mezzo a questa parte ho dedicato la mia professionalità e una buona fetta della mia vita e proprio che "da oratorio" significhi superficiale, non pensato o di poca qualità solo perché agisce molto sull'informalità, proprio non mi va giù!
Così poco più tardi rimasta sola nel mio ufficio lascio che le "cose da oratorio" migrino dalla pancia alla testa, tanto più che mi pare si intreccino bene con il titolo del cross-blogging "l'educazione nasce naturale" che da qualche giorno si è affacciato su Facebook.
La mia è un'esperienza professionale in un universo di volontariato, punto di sintesi e di rilancio tra chi a diverso titolo nella comunità si impegna per far crescere "buoni cristiani e onesti cittadini", ovvero per aiutare i più giovani ad aprirsi alla propria vocazione, che è il modo con cui da sete parti diciamo che ciascuno deve trovare la propria strada per crescere felice insieme agli altri.
Credo che la palestra per l'arrampicata che vedo dal mio ufficio sia una buona immagine dell'impegno educativo, di quello degli spazi informali dell'oratorio, come quello dei tempi più istituzionalizzati, ovvero quello delle famiglie: educare è un po' cercare di far comprendere ai ragazzi la bellezza di un cammino che si stacca dalle nebbie della pianura per andare verso l'alto, dove la vetta da raggiungere è quella del proprio futuro.
La scalata non è naturale, è frutto di una scelta ed ha bisogno di un allenamento, di un contesto protetto, fatto di percorsi pensati artificialmente, di corde e di imbrachi, di una guida a terra che dia delle indicazioni e attutisca le cadute - lasciandoti però la responsabilità e lo sforzo dei passi verso l'alto e delle prese mollate - prima di poter affrontare le vie più impegnative.
Così è per la vita, c'è bisogno di una palestra che ti dia gli strumenti affrontarla, strumenti che a volte - in modo forse un po' antidemocratico - ti "costringono" in un imbraco un po' stretto o lungo percorsi prefissati; c'è bisogno di guide che mostrino una via e al contempo lascino man mano la responsabilità di passi che possono portare anche fuori da quella via lungo piste nuove ... questa palestra si chiama a mio avviso educazione.
A terra ci sono diverse guide,alcune più formate, professionali, a volte istituzionali, altre più spontanee o informali, magari "da oratorio" ... tutte - a partire dalla prima mano tesa del papà o della mamma che invitava il suo cucciolo a staccare le mani da terra e ad alzarsi in piedi - sono frutto di scelte precise, spesso non istituzionali, ma certamente intenzionali.
-----------------------------
Marta Galbiati cresce in ambiente oratoriano facendo volontariato come educatrice preadolescenti e adolescenti. Nel 2005 si diploma in Scienze dell’Educazione presso l’Università di Milano Bicocca con una tesi sulla comicoterapia e inizia a lavorare presso un CDD dove si scontra con la realtà della disabilità grave e incontra alcuni maestri di vita che le fanno capire l’importanza di credere alla vita in qualunque situazione o difficoltà. Sempre nel 2005 inizia la sua specializzazione in Consulenza Pedagogica e Ricerca Educativa che concluderà nel 2009 con una tesi sul ruolo del padre in adolescenza. Dall’estate 2007 la sua esperienza lavorativa ha una svolta, con l'inizio dell'impegno come responsabile d'oratorio per la cooperativa Aquila & Priscilla della diocesi di Milano, che l'ha portata ad una costante interazione con la dimensione dell'informalità e del volontariato. L'esperienza sul campo l'ha appassionata sempre più a preadolescenza e adolescenza, con la convinzione che la straordinaria avventura dell'educare richieda la responsabilità di rivelare che non esistono ragazzi cattivi.

-----------------------------

mercoledì 22 gennaio 2014

legalità/illegalità #1




il ragazzo più seguito dai servizi sociali tra quelli che ho mai incontrato:
nell'ultimo anno è passato da un ingente monteore di assistenza domiciliare minori (Adm) e da tre comunità minori.
lo segue uno staff intero.
ha 15 anni.
ha una famiglia alle spalle, una situazione "normale" o quantomeno come altre.
ha una serie di carichi pendenti con la giustizia, e lui lo giudica "normale".
ha un problema di definizione del limite tra ciò che è normale e ciò che non lo è, tra ciò che è legale e ciò che non lo è.

dunque: un ragazzo così cosa ci trova in un progetto di tutoring educativo da non mancare un incontro?
l'inizio, sempre con puntualità, c'è stato il misurarsi.
poi lo sperimentarsi.
ora forse anche il fidarsi,
tanto da raccontarmi di aver fatto da terzo ad un pestaggio per cui è in attesa di processo.
e se ne vanta: sia del pestaggio che del processo, anche di non aver detto i nomi degli amici.
"il poliziotto mi ha detto che sono un omertoso. ma io, i nomi dei miei amici non li faccio"

su un ragazzo così le domande che si aprono sono tantissime, sfaccettate.

in una scena dove l'illegalità è esaltata, esiste una possibile strada da intraprendere?
che potenza ha la legalità quando incontra l'illegalità diffusa e dichiarata?
la legalità va interrogata, ha bisogno di percorsi lunghi e faticosi, per cui servono competenze basilari?

perché se è così, qui non c'è nulla da fare...

lui è simpatico, ma soprattutto, è vivo.
nel senso che, nonostante tutto, o forse proprio perché ne ha combinate di ogni, lui ci sta provando: è in gioco.
non uno spettatore.
no.
in gioco con tutto se stesso, lui è in scena.
e questo, è l'appiglio potente da prendere a mio avviso.

ma se gli adulti che ha attorno gli hanno messo un'etichetta, quella del deviante, a cosa serve il suo essere in scena?
e mi chiedo ancora: ma il mettere un'etichetta cosa insegna? è giocare pulito? è "legale"?

lunedì 23 dicembre 2013

IL CASTELLO E LA PRINCIPESSA-lezione magistrale sugli apprendimenti

post di Alessia Zucchelli 

Entro trafelata alla scuola primaria, raggiungo la classe: una prima. Marmocchietti urlanti giocano, disegnano, saltano, mangiano caramelle: è il giorno di santa Lucia e la maestra mi spiega che oggi è così, un delirio..spinta probabilmente dalla possibilità di sentirsi osservata o valutata, sente subito la necessità di comunicare che la situazione, benchè poco piacevole, è sotto controllo, spingendosi a motivare uno status quo un pò illegittimo e davvero straordinario..cosa che in realtà non mi aveva particolarmente sconvolto..sì, non è certo l'immagine di classe a cui sono abituata, ma l'insieme mi suona curioso, potenzialmente creativo e avvicinandomi cercavo semplicemente di presentarmi e di avere un paio di coordinate per poter effettuare la sostituzione che ero andata a svolgere.

Dopo aver raccolto alcune informazioni, mi aggiro tra i banchi per entrare in contatto con i bambini; molti disegnano, offrendomi un facile tramite per avvicinarli: qualcuno tratteggia a matita e mi racconta cosa vuole rappresentare; qualcuno colora; un paio di bambini sono più avanti di altri, stanno già colorando lo sfondo usando i gessi della lavagna e sono così trasportati dalla cosa, come artisti all'opera, che non posso che avvicinarmi rinforzando positivamente il loro fare..appena il tempo di concludere la frase e una voce dalla cattedra intima di riportare i gessi alla lavagna perchè non si può fare..accidenti!..ho appena detto il contrario..Gli artisti non sembrano però voler raccogliere le preoccupazioni degli adulti e continuano imperterriti la loro attività.

Proseguo il giro e mi imbatto in una bambina tranquilla, che disegna a matita un castello e una principessa, in maniera ordinata e con gesto sicuro; ancora una volta mi sento di complimentarmi per il disegno eseguito nei particolari e, nel mentre, si avvicina anche la maestra che, osservata l'opera, chiede come è possibile che la principessa sia più grande del castello..io taccio, osservo ciò che accade pensando che non l' avevo proprio notato, però è vero: come ho fatto a non notarlo? Probabilmente la cosa è passata in secondo piano per via del mio interesse all'incontro con la bambina più che al piglio critico sulle opere svolte.. Non ottenendo alcuna risposta dalla bambina che la guarda senza scomporsi, la maestra insiste chiedendo retoricamente come potrebbe mai entrare una principessa così grande attraverso il portone del castello, così piccolo..come a voler far capire meglio la sua richiesta e accompagnare a comprendere l' errore.
Sollecitata per la seconda volta, la bambina guarda la maestra e, con una leggera smorfia (che rivela tra l'altro che il topolino è già passato a prendere qualche dentino), risponde serenamente che la principessa è vicina mentre il castello è lontano, per questo è più piccolo e che a fare così gliel'ha insegnato la sua mamma..lezione magistrale!

Accusato il colpo, la maestra scivola via, passando al disegno del bambino successivo, io invece mi fermo ancora un pò tra questo gruppetto di creativi e rimuginando osservo che il pensare che la bambina avesse fatto un errore è stato proprio gesto automatico e mi chiedo, un pò mortificata, come si è potuto darlo per certo..Cosa che, se è assolutamente lecito ipotizzare, non possiamo permetterci oggi di dare per scontata. Intendiamoci, non che in passato lo fosse, ma dare ancora per assodato che gli apprendimenti e gli insegnamenti avvengano in maniera lineare, univoca e unidirezionale ha il sapore di un metodo quanto meno anacronistico, di un metodo che non possiamo più permetterci di praticare.

..Tempo destrutturato questa mattina per le bambine e i bambini della prima, ma gli adulti hanno avuto una lezione magistrale.






 Alessia Zucchelli esercita la professione educativa dal 2001 a fianco degli adolescenti a cui si appassiona tanto da decidere di approfondirne la riflessione e la pratica educativa nel lavoro e in una tesi in Scienze dell’Educazione su giovani e famiglie nell’età contemporanea.
Appassionata al lavoro educativo, ritiene che agire PER e CON i ragazzi sia una pratica che ogni giorno le permette di apprendere e contemporaneamente prendersi cura del futuro, in una continua sfida di cambiamento e crescita.
Interessata all’Incontro, alla Comunicazione, alla Partecipazione, pensa che il web sia oggi luogo fondamentale per sperimentare e confrontarsi su pratiche educative che prevedano la possibilità di creare legami e buone prassi innovative.
Sogna un mondo in cui educare e trasmettere, imparare e apprendere, non siano considerati ambiti separati, ma vissuti come unico processo di scambio e crescita reciproca tra giovani e adulti.
Attualmente educatrice in Centri di Aggregazione Giovanile e in progetti contro la dispersione scolastica, è iscritta alla L. M. in Scienze Pedagogiche dell’Università di Bergamo.