venerdì 23 gennaio 2015

Comunità e famiglie

Nella comunità Mulino di Suardi situata nella Lomellina, in provincia di Pavia, una bella cascina ristrutturata accoglie 20 ragazzi tra i 14 e i 20 anni; 16 di loro sono minori stranieri non accompagnati, 4 invece arrivano con una precedente penale alle spalle.
In questo servizio lavorano 11 operatori che oggi hanno partecipato alla formazione. Provenienti da percorsi formativi differenti, con storie professionali molto variegate, mi trovo a condurre una formazione di un gruppo attento, che ha bisogno di essere un po' scaldato, ma che poi non si risparmia nel contribuire a costruire, a raccontarsi nel percorso professionale per comprendere meglio che direzioni si sceglie ogni giorno di intraprendere.
"parafrasando Marquez, la nostra specie racconta per vivere, altrimenti non saremmo qui. Dunque tirar fuori (ex-ducere) un'esperienza da se stessa e trasformarla in una storia per tutti, è un compito evolutivo fondamentale tanto quanto riprodursi biologicamente" (I. Salomone, Il Segno dell'Altro)

Il tema di cui mi devo occupare è il rapporto tra comunità per minori e famiglie
Parlare delle famiglie all'interno di comunità per minori sembra un paradosso: ciò che i ragazzi (o i bambini) lasciano fuori dalla porta è proprio una famiglia. E' una condizione di vincolo.

Costruire contesti familiari è, d'altro canto, necessario sia per l'età dei minori presenti nelle strutture, sia, un mandato istituzionale: è possibile costruire cura, in un contesto professionale, senza lavorare sulla familiarità del luogo, delle azioni messe in campo, delle relazioni tra educatore e utente?

Nel praticare educazione in una comunità, quali culture familiari si trasmette ai suoi utenti, spesso provenienti da paesi extracomunitari, a volte vicini e a volte distanti, geograficamente o culturalmente?

Come la comunità permette di lavorare sul rapporto minore e famiglia d'origine? quali pratiche mette in campo a sostegno?

Quale lavoro di decentramento e ri-centramento devono fare quotidianamente gli educatori per non sostituirsi ai padri e alle madri mancanti tenendo al centro il proprio mandato professionale?

Se il compito delle comunità per minori è quello di proteggere il minore e fargli sperimentare nuove possibilità di vita e di benessere, gli operatori del piano relazionale e familiare devono tenere conto, ogni giorno.
"per far si che il ragazzo diventi protagonista attivo del suo cambiamento, l'educatore deve proporsi come perturbatore strategicamente orientato che offrendo informazioni e provocazioni faccia leva sui processi autogenerativi di rinnovamento dello stesso ragazzo. Più che offrirgli giudizi compiuti sulle sue esperienze biografiche, l'educatore deve soffrire percorsi di interpretazione e soprattutto provocazioni a ripensare la realtà attuale, passata e futura alla luce di quelle nuove modalità di approccio al mondo acquisite durante la vicenda rieducativa"  (P. Bertolini, L. Caronia; Ragazzi Difficili. pedagogia interpretativa e linee di intervento).

Questa è la traccia di lavoro che ho articolato nel primo incontro di formazione per gli operatori delle comunità per minori Mulino di Suardi con i quali abbiamo sviscerato il tema e messo a fuoco ciò che viene trattato nel loro contesto e quali pratiche sostengono i pensieri. Nella foto trovate i testi da cui ho preso spunto per alcune citazioni.

Nel prossimo appuntamento di febbraio andremo a ragionare attorno a sperimentazioni possibili, innovative, differenti da mettere in campo e alle fatiche che questo tema richiede agli operatori.

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